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OLOCAUSTO RUSSO ORTODOSSO

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“Il passato non è mai morto. Non è nemmeno passato “.

William Faulkner, Requiem per una monaca

 

Sono passati un centinaio di anni da quando è stato creato il primo campo di concentramento in Europa (1): in Galizia, destinato ai russi e ai credenti ortodossi.

 

 

Il 4 Settembre 2014 ha segnato il centenario della tragedia dei campi di concentramento di Talerhof [Thalerhof] e Terezin [Theresienstadt], dove decine di migliaia di vittime hanno trovato una morte violenta, martirizzati per la loro fede ortodossa, per il rifiuto di tradire le proprie convinzioni, per il rifiuto di chiamarsi ucraini.

 

L’Anno 2014 – carico di presentimenti e di violenza – coincide in modo molto simbolico con due anniversari tragici della nostra storia; cento anni dall’inizio della prima guerra mondiale, e cento anni da quando il sangue dei martiri è stato versato nei campi di concentramento di Terezin e Talerhof. Sì, il 4 settembre 1914, quando cancelli dell’inferno di Talerhof si sono spalancati, è diventato un giorno di dolore, non solo per i russi ortodossi della Transcarpazia, vittime di una tirannia orribile per mano dei servi del Vaticano, ma per l’intero universo russo nel suo complesso. Non è un puro caso che la prima mega-guerra e il primo campo di concentramento abbiano contaminato contemporaneamente la nostra esistenza, come due corna di Satana: l’improvviso attacco infido che ha portato allo sterminio di creature di Dio su scala inimmaginabile. La guerra e il campo – creati nella stessa fabbrica, con sede negli inferi, sono divenuti i principali strumenti di annientamento della razza umana nell’era industriale.

 

Nel 1914-1917 il governo dell’Austria-Ungheria, con il sostegno esplicito della Germania e con la partecipazione diretta della Polonia, si è impegnato nello sterminio sistematico delle popolazioni ortodosse di Transcarpazia, Galizia e Bucovina.

 

I ricercatori hanno stimato che la popolazione russina dell’Impero austro-ungarico contrava tra 3,1 e 4,5 milioni di persone all’inizio del XX secolo. Queste persone sono state sottoposte alle peggiori persecuzioni, scherni, umiliazioni, torture e orribili stragi. Decine di migliaia di russini hanno pagato con la vita la loro fedeltà alla loro fede e al loro patrimonio, per il loro diritto a rimanere russi.

 

La seconda metà del XIX secolo aveva visto la rinascita della cultura russina in Austria-Ungheria. Il popolo ancora una volta divenne consapevole del proprio posto in una cultura pan-russa, di appartenere a un indivisibile universo – dalla Kamchatka alle montagne dei Carpazi russi. In realtà, la leadership delle organizzazioni nazionali russine in Bucovina, Galizia e Transcarpazia era nelle mani dei partigiani dell’idea di una “grande” Russia unita. Chiamare se stessi o altri “ucraini” non era un dato etnico, ma piuttosto una sorta di etichetta politica, che descriveva la minoranza anti-russa.

 

 

 

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I governanti dell’impero austro-ungarico, profondamente preoccupati da un’improvvisa rinascita dell’Ortodossia, risposero con arresti di massa tra i russi di Transcarpazia e Bucovina.

Come antidoto ai sentimenti filo-russi il governo imperiale aveva creato, e quindi incoraggiato, la crescita della cosiddetta “scoperta etnica di sé” – le nozioni di etnicità “ucraina” e di nazione ucraina tra le parti della popolazione sensibili a tale sovversione.

Gli “ucraini” sono stati così creati da menti polacche e austriache come mezzo per spostare i fedeli ortodossi verso una variante artificiale del cattolicesimo e un nuovo linguaggio “ucraino” creato artificialmente. Ma i campi di concentramento di Terezin e Talerhof hanno mostrato il vero volto della ‘”illuminata” reazione cattolica europea alla rinascita della fede ortodossa nel loro cortile.

Questa è stata la reazione del prototipo della moderna Unione Europea, non ancora coperta dalla foglia di fico della “tolleranza” e simili inutili verbosità, contro la rinascita dell’universo russo, la Terza Roma scelta da Dio, la Santa Rus’.

 

Nel libro scritto da Javorskij, dal titolo “Il terrore in Galizia nel 1914-15“, leggiamo questa terribile testimonianza:

Arrestavano chiunque, senza un giusto processo, chiunque si definiva russo, che portava un nome russo; chiunque teneva, anche in segreto, un giornale russo, un libro, un’icona o addirittura una cartolina. Hanno arrestato allo stesso modo intellettuali o contadini, uomini o donne, anziani o bambini, malati o sani. I loro obiettivi principali erano, ovviamente, i chierici ortodossi, i sacerdoti – quei capi disinteressati di congregazioni, “il sale della terra”, l’essenza delle terre galiziano-russe. Hanno sostenuto il peso della crudeltà – tormentati, torturati, derisi, incessantemente inviati di prigione in prigione, a morire di fame e di sete, picchiati fino a quando perdevano i sensi, incatenati, giustiziati per fucilazione o per impiccagione… innumerevoli vittime innocenti, sofferenze senza limiti, il martirio di bagni di sangue, fiumi di lacrime degli orfani“.

 

Questo è stato un genocidio, una pulizia etnica diretta ai russi, agli ortodossi. Avevano luogo su base regolare rastrellamenti di interi villaggi, uomini, donne, anziani, bambini… Oltre 100.000 russini etnici sono stati fisicamente sterminati dall’Impero. È un fatto significativo che, fino all’inverno del 1915, il campo di concentramento di Talerhof non aveva caserme.

I detenuti hanno vissuto i loro ultimi giorni a cielo aperto, con sole, pioggia o neve. Sono stati impiccati, fucilati o uccisi a colpi di baionetta. Prima delle esecuzioni sono stati sottoposti a orribili torture – dita, labbra, orecchie tagliate. Altri 150.000 sono morti negli stessi campi – non per le esecuzioni, ma di malattia, freddo e fame. Centinaia di migliaia sono riusciti a fuggire andando in esilio. L’unico “crimine” di chi era perseguitato: il rifiuto di diventare “ucraini”, il rifiuto di riconoscere il papa come loro sovrano, il rifiuto di tradire la loro fedeltà alla fede ortodossa, all’etnia e alla lingua russa.

 

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Questo terribile crimine non è qualcosa che all’Europa moderna piace ricordare. Uno dei pochi memoriali, una lapide nel cimitero Lichakovskij a Leopoli, ha inciso sulla pietra: “Alle vittime di Talerhof – Rus’ galiziana”. Allora, la Russia non era intervenuta per salvare la vita dei propri fratelli in Ucraina occidentale.

Ora, un secolo dopo, la storia si ripete; gli eventi seguono il vecchio scenario familiare di un’imminente tragedia. La guerra e i campi [di filtrazione], come due corna, puntano ancora una volta su vittime familiari, identificate da due tratti – russi e ortodossi.

Nei mille anni del permanente stato di guerra tra ortodossia e cattolicesimo, Oriente e Occidente, Cristo e Anticristo, il secolo scorso è stato il più sanguinoso di tutti.

Mentre scriviamo queste righe, orde di nuovi Cainsi, ucraini fratricidi e posseduti, stanno versando il sangue dei loro fratelli nel Donbass, e nuovi campi di filtraggio sono in costruzione a Zhdanovka (regione di Donetsk) e Martynovka (nei pressi di Nikolaev).

Secondo le dichiarazioni ufficiali, queste allusive strutture, circondate da alte mura e filo spinato, sono destinate a “ospitare temporaneamente gli immigrati clandestini.”

Ma Mikhail Koval, un generale di alto rango dell’esercito ucraino, ha dichiarato pubblicamente un obiettivo diverso:

Effettueremo una filtrazione completa della popolazione. Dovremo utilizzare alcune tecniche di filtrazione per assicurarci che nessuno, comprese le donne, che nutra simpatie separatiste rimanga… Naturalmente separeremo gli uomini e le donne per il trattamento …. Dopo la filtrazione re-insedieremo quelli ritenuti affidabili in regioni remote… Daremo un’occhiata da vicino anche a tutti i partecipanti alla “guerra delle informazioni“. Le nostre forze speciali compiranno la ricerca dei computer, dei collegamenti telefonici, degli amici …

 

Così il 1914 si ripete. La Russia troverà questa volta la forza spirituale e il coraggio di alzarsi e fermare l’attacco da parte delle forze delle tenebre? Il giorno del nostro giudizio dipende dal risultato.

Nota

(1) In Europa, ma non nel mondo: i primi ‘campi di concentramento’ moderni sono stati stabiliti dagli inglesi durante la seconda guerra boera.

 

Traduzione Padre Ambrogio       –    da ortodossiatorino

 

 

Fonte: visto su STAMPA LIBERA DEL 24 ottobre 2014

Link: http://www.stampalibera.com/index.php?a=28108

 


SLOGAN FASCISTI

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“Il popolo italiano ha creato col suo sangue l’Impero. Lo feconderà col suo lavoro e lo difenderà contro chiunque con le sue armi.”

Citato  su una abitazione presso la Pieve di Cadellara di Colognola ai Colli, Verona. Tratto dal discorso pronunciato da Benito Mussolini il 9 maggio 1936 dal balcone di Palazzo Venezia a Roma in occasione della proclamazione dell’Impero in Africa Orientale.

 

 

 

Gli slogan fascisti sono uno strumento di propaganda usato dal Fascismo, attribuiti o coniati da Benito Mussolini e scritti sulle facciate delle abitazioni per iniziativa di Achille Starace.

 

 

Abbiamo dei vecchi e dei nuovi conti da regolare: li regoleremo.[1]

 

Alle sanzioni militari risponderemo con misure militari.[2]

 

Anche con l’opera quotidiana, minuta ed oscura si fa grande la Patria.[3]

 

Andremo contro chiunque, di qualunque colore, tentasse di traversarci la strada.[4]

 

A noi![5][6]

 

Ardisco ad ogni impresa. (da Ludovico Ariosto, Orlando furioso, canto XX, ottava LXXI, verso 2)

 

Audace e cauto è di pattuglia. Saldo nella difesa, rapido all’attacco. Tornerai vittorioso alla tua dolce casa.[7]

 

Autorità, ordine e giustizia.[8]

 

Badate che l’Italia non fa più una politica di rinunce o di viltà, costi quello che costi![9]

 

Baionette italiane: al vostro acciaio è affidato col destino d’Italia quello dei popoli d’Europa.[10]

 

Beffo la morte e ghigno.

 

Bisogna diventare migliori, bisogna che tutti gli Italiani si considerino soldati fedeli al loro posto, alla loro consegna.[11]

 

Bisogna essere forti.[12]

 

Bisogna soprattutto osare.[13]

 

Boia chi molla.[14]

 

Camminare e costruire e se necessario combattere e vincere.[15]

 

Chi lavora la terra è considerato tra i primi.[16]

 

Chi non è pronto a morire per la sua fede non è degno di professarla.[17]

 

Chi osa vince.[18]

 

Chi si ferma è perduto.[19]

 

Colui che abbandona la terra senza un supremo motivo, io lo considero un disertore dinanzi al popolo italiano.[20]

 

Combattere e vincere.[21]

 

Come rivoluzione fascista l’intero secolo sta innanzi a noi.[22]

 

Con il Duce fino alla morte.[23]

 

Continuiamo a marciare nella pace, per i compiti che ci aspettano domani e che fronteggeremo con il nostro coraggio, con la nostra fede, con la nostra volontà.[24]

 

Credere, obbedire, combattere.[25]

 

Datevi all’ippica.

 

Slogan ancora presente, seppur sbiadito, su una casa: È l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende

 

Dieci per dieci: un secolo.[26]

 

Dio e Patria. Ogni altro affetto, ogni altro dovere vien dopo. (Giovanni Giuriati, Gioventù fascista, 1931)

 

Disciplina, concordia e lavoro per la ricostruzione della Patria.[27]

 

Dovete sopravvivere e mantenere nel cuore la fede.

 

Durare sino alla vittoria, Durare oltre la vittoria, per l’avvenire e la potenza della nazione.[28]

 

Dux mea lux.

 

Duce mia luce.

 

Dux nobis.

 

Duce a noi.[29]

 

Essendo rurali sarete più vicini al mio cuore.

 

È lo spirito che doma e piega la materia, è lo spirito che crea la santità e l’eroismo.[30]

 

È solo l’azione che dà la tempra alle anime.[31]

 

È un grande ramo d’ulivo che io annalzo. Questo ulivo spunta da un’immensa foresta di otto milioni di baionette.[32]

 

Fascismo è libertà.

 

Fedeltà è più forte del fuoco.

 

Eja, Eja, Alalà![33][34] (Gabriele D’Annunzio, Impresa di Fiume, 7 agosto 1918)

 

È l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende. E il vomere e la lama sono entrambi di acciaio temprato come la fede dei nostri cuori.[35]

 

Fede illumina. Amore abita. Pace amministra. Onore adorna.[36]

 

Fermarsi significa retrocedere.[37]

 

Fino alla vittoria.

 

Forze armate e popolo sono tutt’uno.[38]

 

Gli italiani debbono farsi una mentalità autarchica.[39]

 

Hanno diritto all’impero i popoli fecondi.[40]

 

Il credo del fascista è l’eroismo, quello del borghese l’egoismo.[41]

 

Il destino dei popoli che si sono inurbati ed hanno abbandonato la terra è storicamente segnato, è la decadenza che li attende.[42]

 

Il Duce ha sempre ragione.

 

Il fascismo considera i contadini in guerra e in pace quali forze fondamentali delle fortune della Patria.[43]

 

Il fascismo non vi promette né onori, né cariche, né guadagni, ma il dovere e il combattimento.[44]

 

Il fascismo stabilisce l’eguaglianza verace e profonda di tutti gli individui di fronte al lavoro e di fronte alla Nazione.[45]

 

Il fascismo vuol preparare le giovani generazioni al lavoro e al combattimento.[46]

 

Il fascista disdegna la vita comoda.[47]

 

Il lavoro è la cosa più alta, più nobile, più religiosa della vita.[48]

 

Il lavoro italiano non andrà più a fecondare le terre altrui.[49]

 

Il lavoro tranquillo, ordinato, intelligente, deve diventare la norma fondamentale di vita di tutti i buoni cittadini italiani.[50]

 

Il nemico del Fascismo è il tuo nemico: non dargli quartiere. (da Decalogo del milite fascista, 1928)

 

Il nemico vi ascolta. Tacete![51]

 

Il numero è potenza.[52]

 

Il nuovo impero è stato fatto dal popolo, è impresa di popolo.[53]

 

Il popolo italiano ascolta le parole, ma giudica dai fatti.[54]

 

Il popolo italiano ha creato col suo sangue l’Impero. Lo feconderà col suo lavoro e lo difenderà contro chiunque con le sue armi.[55]

 

Il ricordo delle antiche prove freme nei nostri cuori così come l’impeto verso il futuro.[56]

 

In questo mondo scuro, tormentato e già vacillante, la salvezza non può venire che dalla verità di Roma, e da Roma verrà.[57]

 

Io conosco bene i rurali d’Italia e so che essi sono sempre pronti a far zaino in spalla, cambiare la vanga col fucile.[58]

 

Io mi vanto sopratutto di essere un rurale.[59]

 

Io preferisco coloro che lavorano duro, secco, sodo, in obbedienza e possibilmente in silenzio.[60]

 

I popoli che non amano portare le proprie armi finiscono col portare quelle degli altri.[61]

 

I popoli forti sanno guardare in faccia il proprio destino.[62]

 

I soldati italiani sono oggi i migliori del mondo.[63]

 

Italia agli italiani.

 

Italia dura, Italia volitiva, Italia guerriera.[64]

 

Italia proletaria e fascista, Italia di Vittorio Veneto e della Rivoluzione, in piedi![65]

 

I vecchi conti d’Africa sono regolati fino al centesimo.[66]

 

L’esercito è garanzia sicura dei destini della patria.[67]

 

La bandiera si onora degnamente in un modo solo. compiendo sempre e comunque il proprio dovere.[68]

 

La classe lavoratrice è la potenza, la speranza, la certezza dell’avvenire d’Italia.[69]

 

La garanzia della pace riposa sulle nostre forze armate.[70]

 

La libertà senza ordine e disciplina significa dissoluzione e catastrofe.

 

La marcia continua perché altre mete attendono il segno romano della nostra conquista.[71]

 

La mia ambizione è questa: rendere forte, prosperoso, grande, libero il popolo italiano.[72]

 

La pace riposa sulle nostre forze armate.[73]

 

La Patria è la più grande, la più umana, la più pura delle realtà.[74]

 

La Patria non si nega, ma si conquista.[75]

 

La Patria si serve anche facendo la guardia a un bidone di benzina. (da Decalogo del milite fascista, 1928)

 

La più profonda eloquenza è nei fatti.[76]

 

La popolazione italiana può dirsi all’avanguardia per probità, per onestà, per laboriosità, per diligenza, per intelligenza.[77]

 

La potenza di un popolo dipende dalla sua massa numerica e dalla sua fedeltà alla terra.[78]

 

La razza domina e sviluppa e feconda la terra[79]

 

La rivoluzione fascista continua.[80]

 

La rivoluzione fascista ha trovato le sue migliori legioni fra i rurali.[81]

 

La stasi debilita, l’azione rinfranca.[82]

 

La terra e la razza sono inscindibili. Attraverso la terra si fa la storia della razza e la razza domina e sviluppa e feconda la terra.[83]

 

La terra non tradisce mai.

 

La vera fonte, la vera origine di tutta l’attività umana è la terra.[84]

 

La vittoria africana resta nella storia della Patria integra e pura come i legionari caduti e superstiti la sognavano e la volevano.[85]

 

Le frontiere non si discutono, si difendono.[86]

 

Libro e moschetto, fascista perfetto.[87]

 

L’Italia a mio avviso deve rimanere una Nazione a economia mista, con una forte agricoltura, che è alla base di tutto.[88]

 

L’Italia avrà il suo grande posto nel mondo.[89]

 

L’Italia desidera la pace, ma non teme la guerra.[90]

 

L’Italia ha finalmente il suo impero. Impero fascista, perché porta i segni indistruttibili della volontà e della potenza del littorio romano.[91]

 

L’Italia in camicia nera è e sarà invincibile.[92]

 

L’Italia non farà più una politica di rinunce o di viltà.[93]

 

L’Italia oggi serve la causa della civiltà umana.[94]

 

L’obbedienza dev’essere pronta, rispettosa e leale.[95]

 

Lo slancio vitale del popolo italiano non fu e non sarà mai fermato!

 

Lo Stato fascista è una volontà di potenza e d’imperio.[96]

 

Marciare per non marcire.[97]

 

Meglio lottare insieme che morire da soli.

 

Meglio vivere un giorno da leone, che cento anni da pecora.[98]

 

Me ne frego.[99]

 

Mentre in tante parti del mondo tuona il cannone, farsi delle illusioni è follia, non prepararsi è delitto. Noi non ci illudiamo e ci prepariamo.[100]

 

Molti nemici, molto onore.[101]

 

Mussolini ha sempre ragione. (da Leo Longanesi, L’italiano, 11 febbraio 1926; citato in Vademecum del perfetto fascista, Vallecchi)[102]

 

Nelle colonie si continua la Patria.[103]

 

Nell’Italia fascista il capitale è agli ordini dello Stato.[104]

 

Nel segno del littorio abbiamo vinto, nel segno del littorio vinceremo.[105]

 

Nessuno si illuda di poterci piegare senza avere duramente combattuto.[106]

 

Noi eravamo già grandi quando in molte parti del mondo i popoli non erano ancora nati.[107]

 

Noi potremo allora, domani, quando tra il 1935 e il 1940 saremo a un punto direi cruciale della storia europea, potremo far intendere la nostra voce e vedere finalmente riconosciuti i nostri diritti.[108]

 

Noi siamo pronti a difendere la nostra folgorante vittoria con la stessa intrepida e inesorabile decisione con la quale l’abbiamo conquistata.[109]

 

Noi sogniamo l’Italia romana, cioè saggia e forte, disciplinata ed imperiale.[110] (Mussolini)

 

Noi tireremo dritto.[111]

 

Noi vogliamo che i giovani raccolgano la fiaccola, s’infiammino della nostra fede e siamo pronti e decisi a continuare la nostra fatica.[112]

 

Non basta essere bravi bisogna essere i migliori.

 

Non siamo gli ultimi di ieri ma i primi del domani.

 

Non siete disarmati, se il vostro spirito è armato, se la vostra fede è potente e la vostra disciplina fermissima.[113]

 

Non si getta il fardello prima di avere raggiunto la meta.[114]

 

Non v’è assedio che possa piegarci, né coalizione, per quanto numerosa, che possa illudersi di distoglierci dalle nostre mete.[115]

 

O con noi o contro di noi.[116]

 

Sostare è retrocedere: slogan su una casa di San Fili

 

Oltre alla potenza delle armi, noi possediamo la potenza dello spirito, cioè la compattissima unità morale del popolo italiano.[117]

 

Onorate il pane, gloria dei campi, fragranza della terra, festa della vita.[118]

 

Osare, durare, vincere.[119]

 

Passano gli anni, ma la nostra fede è intatta come nelle vigilie di combattimento.[120]

 

Per noi fascisti morire non è morire quando si muore per l’Italia.[121]

 

Pondere et igne iuvat.[122]: Aiuta con la massa e col fuoco.

 

Prepariamo per difendere l’impero le giovani armate di domani e poiché esse sono animate dallo spirito fascista saranno invincibili.[123]

 

Prima morte che stanchezza. Non mi stanco di servire. Non mi stanco di giovare.[124]

 

Pronti, ieri, oggi, domani al combattimento per l’onore d’Italia.

 

Quello che abbiamo fatto è importante, ma per noi è più importante quello che faremo.[125]

 

Questa è l’epoca nella quale bisogna sentire l’orgoglio di vivere e di combattere. Questa è l’epoca in cui un popolo misura al metro delle forze ostili la sua capacità di resistenza e di vittoria.[126]

 

Questo regime politico parte da un presupposto indiscutibile ed intangibile: la monarchia e la dinastia.[127]

 

Ricordare e prepararsi.[128]

 

Roma doma.[129]

 

Ringrazia ogni giorno devotamente Dio perché ti ha fatto italiano (Roma, 7 aprile 1926)

 

Roma ha dato la civiltà al mondo.[130]

 

Saluto al Duce.[131]

 

Saviezza governa. Lavoro opera. Gioia ricompensa. Fedeltà conserva.[132]

 

Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi, se mi uccidono vendicatemi.[133]

 

Se combatteremo vinceremo per la grandezza presente, passata e futura.[134]

 

L’Italia è un’isola che si immerge nel Mediterraneo. Se per gli altri il Mediterraneo è una strada, per noi italiani è la vita.[135]

 

Se la vittoria fu mutilata una volta non è detto che possa essere mutilata un’altra volta.[136]

 

Se per gli altri il Mediterraneo è una strada, per noi italiani è la vita.[137]

 

Sempre Avanti.

 

Soldato d’Italia, ricordati che dietro di te con occhi fidenti ti guardano la Patria e la famiglia.[138]

 

Solo Iddio può piegare la volontà fascista. Gli uomini e le cose mai.[139]

 

Soprattutto amiamo risentire, stando in mezzo a voi, l’anima eroica del vostro fascismo rurale, che qui nella vostra terra ha impiegato e vinto la più gloriosa battaglia.[140]

 

Sostare è retrocedere. La marcia continua, altre mete attendono il segno romano della nostra conquista.[141]

 

Spezzeremo le reni.

 

Sposi della vita, amanti della morte.

 

State sicuri che condurrò la rivoluzione fascista sino alla sua meta finale.[142]

 

Su la terra, nei mari, nei cieli: sono ovunque i segni della nostra potenza, della nostra volontà.[143]

 

Tanto maggiori sono gli ostacoli e tanto più precisa e diritta deve essere la nostra volontà di superarli.[144]

 

Trenta secoli di storia ci permettono di guardare con sovrana pietà talune dottrine d’oltralpe.[145]

 

Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato.[146]

 

Ubi ordo, ibi pax et decor. Ubi pax et decor, ibi laetitia.[147]

 

Una tappa del nostro cammino è raggiunta.[148]

 

Unica è la fede: l’amore di Patria. Unica la volontà: fare grande il popolo italiano.[149]

 

Un popolo ascende in quanto sia numeroso, laborioso e ordinato.[150]

 

Un popolo di poeti di artisti di eroi di santi di pensatori di scienziati di navigatori di trasmigratori.[151]

 

Verso la terra debbono volgersi le speranze e le energie dei popoli.[152]

 

Vincerà chi vorrà vincere.[153]

 

Vincere e vinceremo.[154]

 

Vincere o morte.[155]

 

Vi sarà lavoro per altri operai e case per altri contadini che daranno nuova ricchezza alla Sardegna e alla Nazione.[156]

 

Voi marcerete travolgendo ogni ostacolo sino alla meta che vi è stata indicata.[157]

 

Voi siete l’aurora della vita, voi siete la speranza della Patria, voi siete soprattutto l’esercito di domani.[158]

 

 

 

 

NOTE

 

 

 

 

Fonte: da wikiquote

Link: http://it.wikiquote.org/wiki/Slogan_fascisti

 

 

 

 

 

 

I DECALOGHI FASCISTI

 

 

 

L’ENDECALOGO DI LONGANESI DEL 1926

 

1) Disubbidire a un tuo comandante, vuoi dire disubbidire a tutta la gerarchia dei tuoi superiori, a capo dei quali sta il Duce.

 

2) Il moschetto, la gavetta, le giberne, la baionetta ecc; ti sono stati affidati, non perché tu li sciupi nell’ozio, ma perché tu li conservi per la guerra.

 

3) La Patria si serve anche facendo la sentinella a un lattone di benzina.

 

4) I giorni di prigione sono sempre meritati.

 

5) La disciplina è il sale degli eserciti: senza di quella, non si hanno soldati, ma anarchici.

 

6) Rovinare un oggetto dello Stato, vuoi dire rovinare una cosa propria.

 

7) Benito Mussolini ha sempre ragione.

 

8) Un compagno deve essere un fratello!: 1° Perché vive con te. 2° Perché la pensa come te.

 

9) Non dire: «Tanto paga il Governo!» perché sei tu stesso che paghi; poi il Governo è quello che tu hai voluto, e per il quale tu indossi questa divisa.

 

10) Un milite, e un fascista in ispecie, non deve essere pacifista. Per te la guerra deve essere come il pane.

 

11) Il saluto, il ” signor sì “, I l’attenti, il presentat’arm, ecc, che possono apparirti sciocchezze, sono l’essenza delle vita militare perché ti creano un carattere: quello di sapere ubbidire, per poter poi comandare.

 

 

 

IL DECALOGO DEL MILITE FASCISTA DEL 1928 POI ADOTTATO ANCHE DALL’OPERA NAZIONALE BALILLA DI RENATO RICCI.

 

1) Sappi che il fascista ed in ispecie il milite non deve credere alla pace perpetua.

 

2) I giorni di prigione sono sempre meritati.

 

3) La Patria si serve anche facendo la sentinella ad un bidone di benzina.

 

4) Un compagno deve essere un fratello: prima, perché vive con te; secondo, perché la pensa come te.

 

5) II moschetto, le giberne, ecc, ti sono stati affidati non per sciuparli nell’ozio, ma per conservarli per la guerra.

 

6) Non dire mai: “Tanto paga il Governo”, perché sei tu stesso che paghi ed il Governo è quello che tu stesso hai voluto e per il quale indossi la divisa.

 

7) La disciplina è il sole degli eserciti: senza di essa non si hanno soldati, ma confusione e disfatta.

 

8) II Duce ha sempre ragione!

 

9) II volontario non ha attenuanti quando disobbedisce.

 

10) Una cosa deve esserti cara soprattutto: la vita del Duce.

 

 

 

DECALOGO DEL 1942

 

1) Ricorda che i Caduti per la Rivoluzione e per l’Impero precedono le tue colonne.

 

2) Un camerata è per te un fratello: vive con te, pensa come te, lo avrai a lato nella battaglia.

 

3) L’Italia si serve dovunque, sempre, con ogni mezzo: col lavoro e col sangue.

 

4) II nemico del Fascismo è il tuo nemico: non dargli quartiere.

 

5) La disciplina è il sole degli eserciti: essa prepara e illumina la vittoria.

 

6) Se tu vai all’assalto con decisione, hai già la vittoria nel pugno.

 

7) L’obbedienza consapevole e totale è la virtù del legionario.

 

8) Non ci sono cose grandi o piccole: c’è il dovere.

 

9) La Rivoluzione fascista ha contato e conta sulle baionette dei suoi legionari.

 

10) Mussolini ha sempre ragione.

 

 

 

DECALOGO DEL SEGRETARIO DEL PNF GIOVANNI GIURIATI

 

1) Dio e Patria. Ogni altro affetto, ogni altro dovere vien dopo.

 

2) Chi non è pronto a dare corpo ed anima alla Patria e a servire il Duce senza discutere, non merita di indossare la camicia nera: il Fascismo ripudia le tiepide fedi e i mezzi caratteri.

 

3) Usa tutta la tua intelligenza per comprendere gli ordini che ricevi e tutto il tuo entusiasmo nell’ubbidire.

 

4) La disciplina non è soltanto la virtù del soldato nei ranghi: deve essere abito di ogni giorno e di ogni contingenza.

 

5) Un cattivo figlio e uno scolaro negligente non sono fascisti.

 

6) Distribuisci il tuo tempo così che il lavoro sia letizia e il giuoco sia opera.

 

7) Impara a patire senza lamentarti, a prodigarti senza chiedere, a servire senza attendere ricompensa.

 

8) Le buone azioni, come le azioni di guerra, non si troncano a mezzo: portale dunque fino alle estreme conseguenze.

 

9) In gravi frangenti ricordati che la salvezza è nell’audacia.

 

10) E ringrazia ogni giorno devotamente Dio, perché ti ha fatto Italiano e Fascista.

 

 

 

DECALOGO PUBBLICATO NELLA RIVISTA VENT’ANNI

 

1) Obbedire al Duce.

 

2) Odiare sino all’ultimo respiro i nemici del Duce, cioè della Patria.

 

3) Smascherare i traditori della Rivoluzione senza sbigottire per la loro eventuale potenza.

 

4) Non aver paura di aver coraggio.

 

5) Non venire mai a compromessi col proprio dovere di fascista, dovessero andarne perduti il grado, lo stipendio, la vita.

 

6) Meglio morire orgogliosamente affamato che vivere pinguemente avvilito.

 

7) Spregiare il cadreghino.

 

8) Odiare il vile denaro.

 

9) Preferire la guerra alla pace, la morte alla resa.

 

10) Non mollare. Mai!

 

 

 

DECALOGO DI BENITO MUSSOLINI

 

IL FASCISTA

 

1) è riconoscente a Dio per averlo fatto nascere italiano;

 

2) crede nella religione dei Martiri e degli Eroi;

 

3) aspira alla Patria come ad un premio da meritare;

 

4) ha fede nella universalità dell’Idea fascista;

 

5) non ama la felicità del ventre e disdegna la vita comoda;

 

6) sprezza il pericolo e cerca la lotta;

 

7) considera il lavoro un dovere e il dovere una legge;

 

8) ritiene il sacrificio una necessità e l’obbedienza una gioia;

 

9) concepisce la vita soltanto come sforzo continuo di elevazione e di conquista;

 

10) ed è pronto a qualunque rinunzia, anche a quella suprema.

 

 

 

DECALOGO DELL’ITALIANO NUOVO (ARNALDO MUSSOLINI)

 

 

1) Non vi sono privilegi, se non quello di compiere per primi la fatica e il dovere.

 

2) Accettare tutte le responsabilità, comprendere tutti gli eroismi, sentire come giovani italiani e fascisti la poesia maschia dell’avventura e del pericolo.

 

3) Essere intransigenti, domenicani. Fermi al proprio posto di dovere e di lavoro, qualunque esso sia. Ugualmente capaci di comandare e di ubbidire.

 

4) Abbiamo un testimonio da cui nessun segreto potrà mai liberarci: il testimonio della nostra coscienza. Deve essere il più severo, il più inesorabile dei nostri giudici.

 

5) Aver fede, credere fermamente nella virtù del dovere compiuto, negare lo scetticismo, volere il bene e operarlo in silenzio.

 

6) Non dimenticare che la ricchezza è soltanto un mezzo, necessario sì ma non sufficiente a creare da solo una vera civiltà, qualora non si affermino quegli alti ideali che sono essenza e ragione profonda della vita umana.

 

7) Non indulgere al mal costume delle piccole transazioni e delle avide lotte per arrivare. Considerarsi soldati pronti all’appello, ma in nessun caso arrivisti e vanitosi.

 

8) Accostarsi agli umili con intelletto d’amore, fare opera continua per elevarli ad una sempre più alta visione morale della vita. Ma per ottenere questo occorre dare l’esempio della probità.

 

9) Agire su se stessi, sul proprio animo prima di predicare agli altri. Le opere e i fatti sono più eloquenti dei discorsi.

 

10) Sdegnare le vicende mediocri, non cadere mai nella volgarità, credere fermamente nel bene. Avere sempre vicina la verità e come confidente la bontà generosa.

 

 

 

IL DECALOGO DEL BALILLA 1929

 

1) Ama la Patria come i genitori; ama i genitori come la Patria.

 

2) Sii religioso, sincero e compì i doveri del cristiano.

 

3) Non adoperare mai la tua forza contro il debole; difendilo se è aggredito dal forte.

 

4) Aiuta chi ha bisogno: con la mente chi vuole apprendere; col cuore chi manca di affetti; con le sostanze chi ha fame; con la vita chi sta per perdere la sua.

 

5) Compì sempre i tuoi doveri di figlio, di fratello, di scolaro, di camerata.

 

6) Non crescere un ozioso, perché chi non lavora, chi non produce non è un buon Ballila, non è un buon italiano.

 

7) Rispetta tutte le cose che non sono tue, siano esse di privati come del pubblico.

 

8) In una Chiesa, dinanzi ad un’immagine sacra, pensa a Dio; nel Parco della Rimembranza, dinanzi ad un monumento e a una lapide ai Caduti, pensa all’Italia e fa’ voto d’essere pronto a dare per Essa tutto il tuo sangue.

 

9) Ricorda che Ballila, in tempi di schiavitù, scagliò il primo sasso per scacciare lo straniero. Oggi l’Italia è libera, ma può aver bisogno, un giorno, anche della tua vita, per divenir grande. Accorri per primo alla sua chiamata.

 

10) Balilla, Avanguardista, Fascista, non discutere i comandi del tuo superiore, mai quelli del Duce.

 

 

 

IL DECALOGO DELLA PICCOLA ITALIANA

 

PICCOLA ITALIANA, QUESTO È IL DECALOGO DELLA TUA DISCIPLINA:

 

1) Prega e adoperati per la pace; ma prepara il tuo cuore alla guerra.

 

2) Ogni sciagura è mitigata dalla forza d’animo, dal lavoro, dalla carità.

 

3) La patria di serve anche spazzando la propria casa.

 

4) La disciplina civile comincia dalla disciplina famigliare.

 

5) II cittadino cresce per la difesa e la gloria della Patria accanto alla madre, alle sorelle, alla sposa.

 

6) II soldato sostiene ogni fatica ed ogni vicenda per la difesa delle sue donne e della sua casa.

 

7) Durante la guerra la disciplina delle truppe riflette la resistenza morale delle famiglie a cui presiede la donna.

 

8) La donna è la prima responsabile del destino di un popolo.

 

9) II Duce ha ricostruito la vera famiglia italiana: ricca di figli, parca nei bisogni, tenace nella fatica, ardente nella fede fascista e cristiana.

 

10) La donna italiana è mobilitata dal Duce al servizio della Patria. le sue donne e della sua casa.

 

 

 

 

MUSSOLINI, LO STORICO PETACCO SUL BLOG DI GRILLO: “NON FECE UCCIDERE MATTEOTTI, FU UN COMPLOTTO CONTRO BENITO”

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Mussolini – Matteotti 

 

 

 

Mussolini è estraneo al delitto Matteotti“: a novant’anni dal delitto dello statista socialista, lo storico Arrigo Petacco, sul blog di Beppe Grillo, lancia nuove teorie sull’omicidio avvenuto nel 1924, che portò alla famosa “secessione sull’Aventino” e di cui Mussolini si professò responsabile il 3 gennaio dell’anno successivo, con un famoso discorso in Parlamento.

 

La ricostruzione dei fatti

“Il fatto è questo”, spiega Petacco: “Quel 10 giugno, Matteotti passeggia sul lungo Tevere, e all’improvviso arriva una macchina, una Lancia con tanto di targa che il portiere si affretta anche a registrare. Scendono giù 4 manigoldi, squadristi e lo caricano in macchina, non gli sparano, non lo ammazzano, lo caricano in macchina. Evidentemente è solo un rapimento, solo che durante il tragitto in macchina, il Matteotti cacciato addirittura a forza sotto il seggiolino posteriore della macchina, scalcia: era un uomo forte robusto e coraggioso, scalcia, smadonna, addirittura morde i polpacci di quelli che gli stanno seduti sopra, e alla fine uno dei quattro, con una mano, trova sotto il lunotto posteriore una lima arrugginita e con quella colpisce alla testa Matteotti e lo uccide“. Questa la ricostruzione del delitto: e Mussolini? “Il Duce, in quel periodo, voleva agganciare la parte morbida del socialismo, in molti erano già d’accordo con lui a entrare nel governo, solo che la lotta era tra gli estremisti fascisti e gli estremisti socialisti“.

 

Il complotto

– Alla fine furono proprio loro ad impedire l’apertura di Mussolini ai socialisti: “Lui fu, casomai, vittima di uno scontro tra la destra estremista fascista e la sinistra estremista sociale comunista, che volevano impedire a Mussolini di creare un governo moderato, perché Mussolini in quei giorni sognava ancora di avvicinare i socialisti moderati e fare un partito con loro”. E quindi, secondo Petacco, “questo cadavere servì moltissimo alla destra reazionaria, quella per intenderci di Farinacci e altri che volevano impedire a Mussolini di avvicinarsi a socialisti, tanto è vero che dopo poco nacque la dittatura. Quindi Mussolini fu spinto a destra da chi voleva impedirgli il suo avvicinamento ai socialisti, e la situazione fu tale che, ad un certo punto, lui stesso fu costretto a proclamare la dittatura il 3 gennaio del 1925. Visto che non riusciva più a liberarsi di questa colpa, fece un discorso alla camera in cui disse che se i fascisti erano una massa di delinquenti, lui era il comandante di questa banda criminale”.

 

Il movente

– Sono almeno tre, secondo Petacco, le ipotesi sul movente dell’omicidio. “Matteotti venne ucciso perché si apprestava a rendere di pubblico dominio intrighi e traffici sporchi di autorevoli personaggi del governo, coperti da potenti coalizioni finanziarie. Oppure Matteotti venne ucciso perché era uno dei principali esponenti del partito socialista, al quale Mussolini meditava di rivolgersi affinché non impedisse la formazione di un nuovo governo basato sulla più stretta collaborazione con la Confederazione generale del lavoro e con le masse operaie. L’ultima per il coraggioso discorso in Parlamento, in cui accusava il fascismo di aver manipolato i risultati elettorali”. Insomma, “Mussolini fu coinvolto involontariamente nel delitto Matteotti: lui non c’entrava affatto, non aveva nessun motivo per uccidere il capo dell’opposizione, che aveva battuto clamorosamente alle elezioni di un mese prima. Per il resto è tutta fantasia politica e strumentalizzata che ha praticamente falsato questa vicenda. Comunque il delitto Matteotti fu casuale, non era premeditato, questo è molto chiaro”.

 

I grillini sconcertati

– Ci sono molte perplessità, da parte degli stessi attivisti del blog grillino, sull’intervista a Petacco. Da un “Ci stiamo autodistruggendo“, firmato Dino, ad un “Io credo veramente che vi siate bevuti il cervello. Cose incredibili, una giornata in cui si deve solo riflettere e chiedersi come mai abbiamo perso, ve ne uscite con queste troiate: VERGOGNATEVI! C’era gente, tanta, che ha creduto in voi!”. Ironico Fausto: “Grazie a questo post risolveremo tutti i problemi del paese. Stiamo proprio perdendo il senno”. Ironico anche Bob: “Per la serie ‘Caro amico ti scriiivooo, cosi ti distraggo un pò…'”. Secondo tanti, l’attenzione di questo post è volta soltanto a spostare l’attenzione dal disastroso risultato delle elezioni regionali, come viene ribadito anche in questo post: “Ho il sospetto che si voglia parare in qualche parte, non sono un complottista, ma questo mi da addito a dei dubbi due o tre, visto l’importanza della giornata odierna… Me li tengo per me, vedremo i prossimi sviluppi, mi sa che qua si è allo sbando”.

 

Fonte: visto su LIBEROQUOTIDIANO.it del 24 novembre 2014

Link: http://www.liberoquotidiano.it/news/sfoglio/11725553/Mussolini–lo-storico-Petacco-sul.html

 

PADRE PIO DISSE DI MUSSOLINI

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Mussolini e’ uno dei più grandi politici che io abbia mai visto, le sue idee rispecchiano il bene di cio’ che è scritto sulla sacra bibbia, è il perfetto guidatore dell’umanità.(Padre Pio)

 

 

RACHELE LA MOGLIE DI MUSSOLINI… INCONTRÒ PADRE PIO.. CHE GLI DISSE: L’ANIMA DI SUO MARITO POTRÀ ?

 

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L’anima di suo marito potrà andare in Paradiso.. in quanto si è pentito di alcuni suoi sbagli…

Mentre in un’altra occasione Padre Pio disse: Stalin e Hitler andranno all’inferno.

 

 

 

EDVIGE MUSSOLINI SI SOGNÒ IL DUCE VARIE VOLTE DOPO LA SUA MORTE

 

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La prima volta lo sognò malconcio, coi vestiti rovinati e col cappotto forato, e “stanco” come lo definì lei;

La seconda volta lo sognò che la consolava e che gli diceva che stava bene, che era in un bel posto, lo sognava fisicamente rifiorito.

Per avere conferma del sogno si presentò da Padre Pio e gli chiese “l’anima del Duce è salva?” e padre Pio gli rispose “lo sai già, te lo ha già detto lui”.

 

 

 

NELLA VITA DELLA SERVA DI DIO EDVIGE CARBONI ( 1880 – 1952 ), SI LEGGE QUANTO SEGUE:

 

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Edvige pregava molto per la salvezza eterna dell’anima di Benito Mussolini e, quando seppe che l’avevano ammazzato, intensificò le preghiere e fece celebrare moltissime messe per liberarlo dal Purgatorio.

Gesù le rivelò un giorno che però il duce era stato condannato al Purgatorio, per espiare lunghi anni di pene.

La serva di Dio continuò a pregare per quell’anima e, finalmente, dopo qualche anno, Gesù la liberò dai patimenti del Purgatorio.

Ed Edvige ripeteva sempre che la bontà del Signore è veramente grande.

ADDIO NEVIO BOTAZZI, FU IL “PERLASCA” BERICO:
SALVÒ DAI LAGER 11MILA PERSONE

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Nevio Bottazzi

 

Nevio Bottazzi, eletto cittadino illustre, aveva raccontato il suo “segreto” solo qualche anno fa. Aveva cestinato o cambiato indirizzo alle cartoline-precetto

 

 

VICENZA – E’ scomparso ieri a Vicenza, all’età di 96 anni, Nevio Bottazzi, uno dei cittadini illustri della città berica. La morte è avvenuta all’ospedale San Bortolo, dove era stato ricoverato da qualche giorno per l’aggravarsi di alcune patologie.

 

Era considerato il “Perlasca vicentino” in quanto salvò 11 mila persone dai campi di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale: lo fece con un’idea ingegnosa, buttando via le cartoline-precetto destinate ai vicentini da arrestare e deportare in Germania oppure cambiando gli indirizzi, in modo che il pacco con le cartoline destinate non arrivasse mai a destinazione. La particolarità sta nel fatto che mantenne questo segreto per oltre 60 anni, raccontando pubblicamente questa vicenda solo pochi anni fa.

 

Dopo questa sua testimonianza, l’attuale sindaco di Vicenza, Achille Variati, lo insignì del titolo di cittadino illustre. I funerali di Bottazzi si terranno domani mattina in città.

 

 

 

Fonte: visto su il gazzettino del 9 gennaio 2014

Link: http://www.ilgazzettino.it/NORDEST/VICENZA/vicenza_morto_nevio_bottazzi_campi_di_concentramento/notizie/1110399.shtml

 

 

VICENZA, NEVIO BOTTAZZI “CITTADINO ILLUSTRE”

 

 

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Nevio Bottazzi, 94 anni, sorride dopo aver svelato il segreto che portava da anni

 

 

 

Vicenza. Il primo riconoscimento, per ora ufficioso ma presto ufficiale, gli arriva dal Comune di Vicenza.

Dopo aver appreso la vicenda di Nevio Bottazzi proprio dalle pagine del Giornale di Vicenza, il sindaco Achille Variati ha deciso di conferirgli il titolo di “cittadino illustre”. Un premio annunciato e che dovrà essere ratificato dalla giunta comunale, ma il primo cittadino non ha dubbi.

E lo spiega in un comunicato: «Non conoscevo questa storia e mi ha molto colpito. Mi onora sapere che un mio concittadino si sia prodigato, anche a rischio della vita, per salvare migliaia di vicentini altrimenti destinati alla deportazione nazifascista».

Una scoperta condivisa con tutti quelli che domenica mattina hanno aperto la prima pagina di cronaca e letto l’intervista di colui che già in molti chiamano il “Perlasca vicentino”, custode di un segreto conservato gelosamente per oltre 60 anni. Un po’ come quei soldati che ogni tanto riappaiono dal profondo di una giungla riportando alla luce date, luoghi e fatti che il tempo sembra aver centrifugato.

 

Rotto finalmente il riserbo dal cronista, complici un paio di amici, è ora il tempo della memoria e della riconoscenza. Continua Variati: «Molti, in quegli anni, sapevano. Pochi hanno avuto il coraggio di opporsi. Inviterò il signor Bottazzi a palazzo Trissino per ascoltare dalla sua voce questa incredibile vicenda e proporrò alla giunta di attribuirgli il titolo di cittadino illustre. È davvero il minimo che possiamo fare in segno di ringraziamento per la sua azione rimasta per tanto tempo sconosciuta, forse anche a causa della riservatezza così tipica dei vicentini più autentici».

Riservatezza che sorprende anche Giuseppe Pupillo, presidente dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea. «Non conosco questa vicenda – sottolinea con cautela più che per scetticismo – e sarà mia cura prenderne visione. Certo, sarebbe di grande interesse se corrispondesse alla realtà, però francamente non posso dirle niente perché ignota». Contatterà anche lui il signor Bottazzi, per capire e magari aggiungere una nuova pagina nel libro vicentino della lotta partigiana.

 

Da parte sua Bottazzi aggiunge un nuovo racconto:

 

«Riuscii a far scappare 30 ragazzi mi sembra di Lugo portati nella caserma di raccolta di Treviso per essere deportati in Germania. Usai uno stratagemma: provocai, con una richiesta di cibo, e poi minacciai con il fucile armato il sergente delle SS che gestiva il luogo, attirando in tal modo l’attenzione delle due giovani guardie fasciste al portone, che lo lasciarono incustodito per una decina di minuti».

 

Chi si rivede in questo racconto può contattarlo al suo numero di telefono o chiamare la redazione. Di storie di coraggio e di speranza c’è sempre un gran bisogno.

 

«Cittadino illustre? Sono cittadino lo stesso. Cos’è, mi vuole “lustrare”?».

Ci ride su Nevio Bottazzi, ma il riconoscimento alla fine gli fa piacere.

 

Allora, signor Bottazzi, lusingato?  

 

«Io ho sempre risposto alla mia coscienza, mi piace aver fatto ciò che ho fatto. Ho sempre cercato di aiutare la gente, anche ora che ho 94 anni vado a fare la spesa ad una signora. Si vede che ho un istinto dentro».

 

Lei sdrammatizza. Forse si è tolto anche un peso.

 

«Non era un peso tenere questo segreto per me, senza divulgarlo».

 

Cosa pensavano i suoi di quello che faceva?

 

«Non lo sapevano. Nessuno sapeva nulla, nemmeno mio papà, sfollato alle Maddalene».

 

Qualcuno di quelli che ha salvato si è fatto vivo?

«Qualche telefonata c’è stata. L’unica cosa che mi dispiace è che uno di quelli che salvai una mattina a San Domenico, mentre andavo al lavoro, non mi abbia mai detto grazie. Era un disertore, aveva documenti falsi e fu beccato, io riuscii a farlo scappare, ma non ha mai detto niente».

 

Ci pensa mai che avrebbero potuto scoprirla?

 

«Andai lì perché c’era qualcuno che voleva fare quello ma non aveva il coraggio e così chiamò me, dandomi il suo sostegno. Anche tra i fascisti c’erano brave persone.  Brutta bestia la guerra. Specie quella civile. L’odio tra fratelli è terrificante».

 

Roberto Luciani

 

 

 

Fonte: da IL GIORNALE DI VICENZA del 1 maggio 2012

Link: http://www.ilgiornaledivicenza.it/stories/dalla_home/357993_vicenza_bottazzi_cittadino_illustre/?refresh_ce#scroll=2203

 

I PARTIGIANI ALLEATI DEI NAZISTI, UN’ALTRA STORIA ITALIANA RIMOSSA

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E’ da poco uscito il nuovo libro di Roberto Gremmo “I partigiani alleati dei nazisti – Il “Battaglione Davide” dalla Resistenza astigiana alla Risiera di Trieste”.

Dalla sintesi che riportiamo qui sotto, si tratta di uno studio veramente importante che documenta una vicenda finora dimenticata o rimossa: la storia drammatica di centinaia di contadini del Monferrato e delle Langhe che avevano disertato i bandi di Mussolini per diventare poi ‘kapo’ per i nazisti al Lager della Risiera di Trieste al seguito d’uno spericolato avventuriero.

 

Avevano scelto di diventare partigiani ribelli alla “Repubblica Sociale” di Mussolini ma osteggiavano gli Anglo-americani ed erano alleati dei tedeschi.

Subito dopo l’8 settembre centinaia di giovani contadini delle Langhe e del Monferrato rifiutarono di sottomettersi al Duce e si dettero alla macchia, trovando il loro capo nel “Capitano Davide” Enrico Ferrero che organizzò un’agguerrita formazione armata di “Patrioti” e dette filo da torcere ai fascisti dell’Astigiano. Ma la loro esperienza partigiana fu di breve durata perché l’inaffidabile ed imprevedibile “Davide” siglò dopo pochi mesi un accordo ‘collaborazionista’ coi nazisti ed i suoi uomini finirono a Venaria, inquadrati in un reparto autonomo. I giovani del “Battaglione Davide” erano agli ordini diretti delle SS che, dopo un breve periodo d’addestramento, li trasferirono in Friuli a fronteggiare l’avanzata dei partigiani di Tito.

 

Tuttavia, appena giunto nel Goriziano, “Davide” finì al centro d’inestricabili intrighi e si scontrò coi fascisti del luogo, costringendo i suoi protettori con la svastica a toglierlo di mezzo, deportandolo nel lager di Dachau.

I suoi uomini non ebbero miglior destino perché i nazisti li trasformarono nei guardiani del campo di concentramento della Risiera di San Sabba a Trieste. Due di loro vennero assassinati dai nazisti per ‘scarsa disciplina’; solo pochi ‘patrioti’ riuscirono a disertare raggiungendo l’armata jugoslava con la stella rossa ma molti altri furono complici dell’occupazione nazista fino al termine della guerra.

 

Negli ultimi giorni del conflitto, Ferrero, autopromosso “Colonnello”, fu protagonista d’un ultima incredibile epopea in Sud Tirolo ed assieme al nipote di Garibaldi si presentò di nuovo come “Partigiano” finché, tornato in Piemonte, scomparve dalla circolazione in oscure circostanze ed ‘andò in Argentina senza scarpe’. La storia rocambolesca del “Battaglione Davide” rompe gli schemi della storiografia ufficiale perché dimostra che le vittime non erano tutte da una parte sola.

 

SCHEDA LIBRO

 

AUTORE: Roberto Gremmo

 

TITOLO: “I partigiani alleati dei nazisti – Il “Battaglione Davide”
dalla Resistenza astigiana alla Risiera di Trieste”

 

INDICE DEI CAPITOLI
Capitolo 1 – Erano partigiani ostili agli Alleati e nemici dei fascisti ma schierati
coi tedeschi – Capitolo 2 – Sotto il Fascismo Ferrero era finito al confino per
un falso ‘complotto comunista’ – Capitolo 3 – Nel 1943 Ferrero diventò il primo
capo della Resistenza astigiana – Capitolo 4 – I fascisti osteggiavano il
reclutatore di ‘Patrioti’ Ferrero – Capitolo 5 – A Venaria Ferrero creò il
“Battaglione Davide” d’accordo coi tedeschi – Capitolo 6 – Nel Goriziano il
‘Battaglione Davide’ si scagliò contro i fascisti – Capitolo 7 – Gli uomini di
Sarzano diventarono guardie del ‘lager’ nazista alla Risiera di Trieste – Capitolo
8 – I disertori del “Battaglione Davide” raggiunsero i partigiani di Tito – Capitolo
9 – Il “Colonnello” Ferrero ed il nipote di Garibaldi erano fra gli ‘ostaggi
eccellenti’ a Dachau e nel Sud Tirolo – Capitolo 10 – Arrestato dalla “Polizia
Partigiana” di Alessandria e scomparve il “Generale” Ferrero “andò in Argentina
senza scarpe” – Capitolo 11 – Il ritorno del fascista Tamburini, del nipote di
Garibaldi e del figlio del maresciallo Badoglio – Capitolo 12 – La segretaria del
“Capitano Davide” era l’attrice “Luisa Ventura”.

 

192 Pagine – Euro 25

 

 

Fonte: da MIGLIOVERDE

Link: http://www.miglioverde.eu/i-partigiani-alleati-dei-nazisti-unaltra-storia-italiana-rimossa/

 

IL REFERENDUM DEL 1946? MAI TERMINATO: LA REPUBBLICA ITALIANA LEGALMENTE NON ESISTE

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Anche il 2 giugno 2014  si festeggerà la vittoria del “SI'”  a favore della Repubblica contro la Monarchia del referendum del 1946. Peccato che non sia mai avvenuto per certo!

 

Infatti risulta  dalle leggi del tempo che prima di proclamare la vittoria  dovevano ancora votare Istria, Dalmazia e isole adriatiche, territori veneti ancora legalmente italiani, che avrebbero potuto ribaltare il risultato.

 

Non solo i risultati non potevano essere ancora dichiarati come definitivi, ma nella notte dello spoglio 2 milioni di voti pro-repubblica comparvero all’improvviso dopo una strana interruzione per ore nello spoglio.

Ed in effetti  circa 1,5 milioni di schede di voti pro-monarchia sono state rinvenute  a Napoli ufficialmente 50 anni dopo, schede che state fatte distruggere dal governo Dalema del 1998.

 

Occorre ricordare che a Napoli, città sicuramente monarchica,  a seguito del referendum ci furono  scontri pro-monarchia e contro i brogli, perfino con la polizia che mitragliò la folla facendo 9 morti e 150 feriti. Quei 1,5 milioni di voti erano sicuramente monarchici.

 

Insomma il 2 giugno 1946 non ci fu la nascita di una repubblica, ma il colpo di stato della Cassazione (e dei partiti) che dichiarò la vittoria della Repubblica senza il voto  dell’Istria, della Dalmazia e le altre terre previsto per legge.

 

Fu solo l’anno dopo, il 1947, che la sedicente repubblica italiana cedette alla Jugoslavia le terre venete che non avevano mai votato, senza fare alcun referendum per la loro decisione, ma realizzando quanto il COMINTERN dell’Unione Sovietica aveva deciso nel 1933.

 

Nel 2006 ho portate alla luce queste violazioni delle norme di referendum , le prove di questi fatti che dimostrano la illegalità della nascita della repubblica italiana, le trovate nell’articolo sotto .

Buona “scoperta”

 

http://www.palmerini.net/blog/la-repubblica-italiana-legalmente-non-esiste/

 

 

Fonte: visto su PALMERINI.NET del 3 maggio 2014

Link: http://www.palmerini.net/blog/il-referendum-del-1946-mai-terminato/

 

 

 

LA REPUBBLICA ITALIANA LEGALMENTE NON ESISTE

 

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Ho dimostrato la illegalità-nullità del referendum Monarchia-Repubblica del 1946, e sono stato il primo a dimostrare questi fatti storici e giuridici della Repubblica Italiana con documenti giuridici.

Alcuni autori hanno usato questo materiale senza citare la fonte,  in danno del diritto d’autore, e la cosa è dimostrata dal fatto che questo studio è stato  depositato al Tribunale di Venezia in un procedimento del 2006.

 

In un questo sito trovate anche .  le prove documentali di quanto affermato, ma per una trattazione più organica e completa si può acquistare il mio testo “La Repubblica mai nata” (clicca) anche su Amazon.

 

 

Ecco perché la “Repubblica Italiana” LEGALMENTE NON ESISTE**

Loris Palmerini 2006 (C) – citare sempre l’autore – copyright 2006 Loris Palmerini – all rights reserved.

 

Al momento del referendum monarchia / repubblica del 1946 erano legalmente territorio dello Stato Italiano anche le terre di Istria con Capodistria e Pola ecc, la Dalmazia con Spalato e Zara, e le Isole Adriatiche.

 

Queste terre erano “italiane” in base al Trattato di Rapallo del 1920.

http://it.wikipedia.org/wiki/Trattato_di_Rapallo_(1920)

 

 

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Dunque, seppure occupate dai Titini, erano terre che avevano il diritto di poter votare al referendum monarchia / repubblica del 1946, un diritto che avevano i cittadini “italiani” lì residenti : essi avevano il diritto di voto, che però non hanno potuto esercitare in maniera ingiustificata. NON FURONO COSTITUITI I COLLEGI PREVISTI DAL DECRETO.

Purtroppo, non solo gli aventi diritto lì presenti non poterono votare, ma nemmeno quelle centinaia di migliaia di essi che fuggirono al genocidio Titino e vennero in italia.

 

E’ vero, il caos era tanto, c’era una guerra civile, ed infatti perfino Corfù e il Dodecaneso erano terre Italiane in virtù di una pretesa e eredità del Regno d’Italia dalla Repubblica Veneta, cosa per altro mai dimostrata, quindi lasciamo perdere la mancanza di voto in quei territorio e comunque questo rafforzerebbe il mio ragionamento.

 

Torniamo ai territori d’Istria, Dalmazia e isole: essi furono ceduti dalla neonata “repubblica italiana” solo con il Trattato di Parigi del 1947

Questo dimostra che al momento del voto del 1946 essi erano territori “italiani”.

 

Quindi, come può aver ceduto quei territori quella “repubblica” che da essi non era mai stata votata?

 

E sopra tutto, è valido un referendum che riguarda la collettività dove solo una parte del territorio interessato o una parte della collettività vota ?

 

Dunque, chi rappresenta legalmente la Repubblica Italiana ? I territori del 1946 ? Quelli che erano Italiani del 1946 (e che lo erano anche dopo!) ?

 

Purtroppo bisogna ricordare che oltre a quei territori del levante veneto che ho detto, anche Trieste, Bolzano e TUTTO IL FRIULI non poterono votare al referendum.

 

Insomma MILIONI DI AVENTI DIRITTO AL VOTO non poterono votare al Referendum del 1946, pur essendo italiani con diritto di voto, e questo perché chi organizzò il referendum sbagliò oppure stava realizzando un colpo di stato.

 

Infatti è noto che gli italiani di Istria e Dalmazia erano per lo più di orientamento monarchico, e se avessero votato avrebbe certamente vinto la Monarchia.

 

Per altro, il referendum è macchiato da diverse irregolarità, per esempio non si è mai spiegata l’improvvisa comparsa nella notte dello scrutinio di 2 milioni di voti pro repubblica, appunto quello scarto che fece vincere la repubblica per 12.717.923 voti contro 10.719.284 voti per la monarchia .

 

Ma considerando che più di 2 milioni di aventi diritto non poterono votare, lo scarto di 2 milioni dei risultati ufficiali non è sufficiente per dare certezza che il risultato del referendum sarebbe stato lo stesso se essi avessero votato.

 

In pratica il referendum è nullo perché mancarono milioni di voti e dunque manca la legittimità alla repubblica italiana come soggetto derivante dal referendum.

 

Ripeto, i milioni di Istriani, Dalmati e delle isole dell’Adriatico che non votarono, oltre a Bolzano, il Friuli ecc, fanno sì che il risultato del Referendum del 1946 non è detto che esprima la volontà maggioritaria di chi aveva diritto al voto.

 

Io non sono monarchico, ma RISPETTO LA VOLONTA’ POPOLARE e pretendo che uno Stato rispetti la legge.

 

Per tanto devo affermare che il Referendum del 1946 E’ NULLO perché non è stato valevole per esprimere la volontà popolare del popolo italiano.

 

Il RISULTATO REFERENDUM del 1946 è nullo perché:

 

– non è l’espressione certa della maggioranza degli aventi diritto al voto

– probabilmente avrebbe vinto la monarchia, anche se non è certo neppure questo

– le modalità del passaggio di poteri sono oscure e macchiate da minacce alla casa regnante da parte di importanti esponenti politici

 

Di conseguenza, LEGALMENTE LA REPUBBLICA ITALIANA NON ESISTE.

 

A chi parla del “troppo tardi” si deve dire : può essere democratica e legale una repubblica che nasce dalla NEGAZIONE DEL DIRITTO DI VOTO ?

 

La Repubblica Italiana è un FALSO, è illegittima, è giuridicamente INESISTENTE, e i diritti umani pretendono verità e la revisione delle Istituzioni attraverso dei referendum territorio per territorio autogestiti dalla cittadinanza, anche quella di Istria e Dalmazia.

 

Per gli stessi motivi, le cessioni di territorio sottoscritte dai Repubblicani saliti al potere dopo il referendum, e i loro successori, NON SONO VALIDI per difetto di rappresentanza: come può un abusivo senza titolo cedere la proprietà altrui?

 

L’articolo si integra con le prove documentali (clicca)

 

Loris Palmerini

Presidente del Tribunale del Popolo Veneto

 

PS del 16-04-2006

 

Ho già sentito un famoso usurpatore dire che il concetto di sovranità di oggi non è quello del dopoguerra. E perché ? E’ forse cambiato il diritto internazionale ? Ma devo dire che quel poveretto ha già dimostrato in passato di non conoscere le leggi o di essere un delinquente, per poco stava per fare un rovesciamento costituzionale solo pochi anni fa.

 

 

Fonte: da L’opinione di Loris Palmerini, del 16 aprile 2007

Link: http://www.palmerini.net/blog/la-repubblica-italiana-legalmente-non-esiste/

 

 

 

 

LE PROVE CHE IL REFERENDUM DEL 1946 È NULLO

 

 

risultati_regionali_del_referendum_del_2_giugno_1946_1073

 

 

Con i documenti  allegati qui sotto, che sono leggi pubblicate sulle GAZZETTE UFFICIALI, ho dimostrato che  l’Italia non è legalmente una Repubblica.

 

A dimostrarlo ecco un estratto del Decreto Luogotenenziale di indizione del Referendum per la forma di stato (il famoso referendum Monarchia-Repubblica del 1946) , il quale stabiliva le modalità del voto, ma anche dove si votasse. Fra i vari collegi ve ne era uno per la terra di Dalmatia con Zara (la Venezia-Giulia), ma anche l’Istria era compresa fra le terre della “Venezia”. Cliccando sull’immagine si può vedere la scansione ingrandita e verificare i collegi)

 

 

 

 

Circoscrizione-collegi-elettorali-1946.554-

 

Queste zone erano territorio legalmente italiano, ma dato che  erano occupati da Alleati (per Trieste e dintorni) , Titini (che attuavano un genocidio) ecc, si fece un decreto in cui il voto in quei collegi elettorali venne momentaneamente sospesi, MA CON LA CHIARA INDICAZIONE CHE ESSI AVREBBERO VOTATO IN SEGUITO APPENA RISTABILITO L’ORDINE.

( Clicca sull’immagine del decreto per ingrandirla)

 

 

gazzetta_ufficiale_23_3_1946.554

 

 

Fra i territori che non poterono votare contiamo Bolzano, Udine (con Pordenone), la Venezia Giulia con l’Istria, Zara con la Dalmatia.

 

Ma dopo soli 9 mesi la neonata  Repubblica Italiana  cedette temporaneamente l’ Istria e Dalmatia alla Jugoslavia, e non fece mai votare Bolzano, Udine, Pordenone e Trieste. Era certo infatti che essi avrebbero votato per la monarchia ribaltando il risultato.

 

In pratica, dato che MILIONI DI PERSONE AVENTI DIRITTO NON HANNO POTUTO VOTARE, il referendum del 1946 non è valido internazionalmente, e non può essere usato come scusa per conoscere la volontà del popolo. Il referendum del 1946 E’ NULLO giuridicamente.

 

O meglio, non è ancora “terminato” , ma è oggi  impossibile il suo completamento , per cui e’ nullo , ( a meno che Istria e Dalmatia non tornino italiane e votino).

 

Tutto ciò rivoluziona i rapporti giuridici fra l’attuale Stato e i suoi cittadini.

 

Lo Stato “Repubblica Italiana”non rappresenta i cittadini italiani, anche quelli di Istria e Dalmatia, ma in pratica tutta la Venetia .

 

La stessa Costituzione Italiana non vale, in quanto l’assemblea costituente non era completa dei territori veneti, quindi i costituenti non rappresentavano l’intero popolo.

 

Perciò, la Repubblica Italiana NON ESISTE legalmente, è un mero fatto senza legalità, è un potere di fatto, ma i cittadini sono liberi di pensare ad altre forme di stato.  L’unica certezza è che in base ai decreti legge del 1946, la repubblica italiana non è mai nata legalmente.

 

Scriverò sulle conseguenze giuridiche di questo, ma per intanto e’ costituito nel Tribunale del Popolo Veneto la rappresentanza legale del popolo della Venezia Giulia.

 

Loris Palmerini Tribunale del Popolo Veneto

 

PS: vi consiglio di fare una ricerca in internet con repubblica italiana referendum 1946

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: da L’opinione di Loris Palmerini, del 24 maggio 2007

 

Link: http://www.palmerini.net/blog/le-prove-che-il-referendum-del-1946-e-nullo/

 

 

 

GLI STATI UNITI SONO STATI IN GUERRA 222 ANNI SU 239 CHE ESISTONO COME STATO

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bandiera-americana

 

 

di Gianfrasket

 

Siamo un popolo di guerra. Noi amiamo la guerra perché siamo molto bravi a farla. In realtà, è l’unica cosa che possiamo fare in questo cazzo di paese: la guerra.

Abbiamo avuto un sacco di tempo per fare pratica e anche perché è sicuro che non siamo in grado di costruire una lavatrice o una macchina che vale un coniglio da compagnia; per contro, se avete un sacco di abbronzati nel vostro paese, dite loro di stare attenti perché noi verremo a sbattere una bomba sul loro viso… ”

 

(George Carlin)

 

 

Gli Stati Uniti sono stati in guerra il 93% del tempo, dalla loro creazione nel 1776, vale a dire 222 dei 239 anni della loro esistenza

 

Gli anni di pace sono stati solo 21 dal 1776

 

Qui sotto è riportata una cronologia anno per anno delle guerre degli Stati Uniti, che rivela qualcosa di molto interessante: dal 1776 gli Stati Uniti sono stati in guerra il 93% del tempo, vale a dire 222 dei 239 anni della loro esistenza

 

Gli anni di pace sono stati solo 21.

 

Per mettere questo in prospettiva:

 

* Nessun presidente degli Stati Uniti è mai stato un Presidente di pace. Tutti i presidenti degli USA che si sono succeduti sono stati tutti, in un modo o nell’altro, coinvolti almeno in una guerra.

 

* Gli Stati Uniti non hanno mai passato un intero decennio, senza fare una guerra.

 

* L’unica volta che gli Stati Uniti sono rimasti 5 anni senza guerra (1935-1940) è stato durante il periodo isolazionista della Grande Depressione.

 

 

Ecco la cronologia delle guerre in cui gli Stati Uniti sono stati coinvolti (1776-2015)

 

 

1776 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamagua Guerre, Seconda Guerra Cherokee, Pennamite

 

1777 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre, Seconda Guerra Cherokee, Pennamite

 

1778 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre Pennamite

 

1779 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre Pennamite

 

1780 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre Pennamite

 

1781 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre Pennamite

 

1782 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre Pennamite

 

1783 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre Pennamite

 

1784 – Chickamauga Guerra Guerre Pennamite, Guerra Oconee

 

1785 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1786 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1787 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1788 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1789 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1790 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1791 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1792 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1793 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1794 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1795 – Guerra indiana del Nord-Ovest

 

1796 – 1800 – Nessuna guerra

 

1801 – Prima guerra Barbary

 

1802 – Prima guerra Barbary

 

1803 – Prima guerra Barbary

 

1804 – Prima guerra Barbary

 

1805 – Prima guerra Barbary

 

1806 – Sabine Expedition

 

1807 – 1809 – Nessuna guerra

 

1810 – Stati Uniti occupano West Florida spagnola

 

1811 – La guerra di Tecumseh

 

1812 – La guerra di Tecumseh, Guerre Seminole, gli Stati Uniti occupano East Florida spagnola

 

1813 – La guerra di Tecumseh, Guerra Peoria, Creek War, gli Stati Uniti espandono territorio nel West Florida spagnola

 

1814 – Creek War, US espansione territorio in Florida, la guerra anti-pirateria

 

1815 – Guerra del 1812, seconda guerra Barbaresca, guerra anti-pirateria

 

1816 – Prima guerra Seminole, la guerra anti-pirateria

 

1817 – Prima guerra Seminole, la guerra anti-pirateria

 

1818 – Prima guerra Seminole, la guerra anti-pirateria

 

1819 – Yellowstone Expedition, la guerra anti-pirateria

 

1820 – Yellowstone Expedition, la guerra anti-pirateria

 

1821 – la guerra anti-pirateria

 

1822 – la guerra anti-pirateria

 

1823 – la guerra anti-pirateria, Guerra Arikara

 

1824 – la guerra anti-pirateria

 

1825 – Yellowstone Expedition, la guerra anti-pirateria

 

1826 – Nessuna guerra

 

1827 – Guerra Winnebago

 

1828 – 1830 – Nessuna guerra

 

1831 – Sac e Fox guerra indiana

 

1832 – Guerra di Falco Nero

 

1833 – Guerra indiana Cherokee

 

1834 – Guerra indiana Cherokee, Pawnee Campagna territorio indiano

 

1835 – Guerra indiana Cherokee, Guerre Seminole, Seconda Guerra Creek

 

1836 – Guerra indiana Cherokee, Guerre Seminole, Seconda Guerra Creek, Missouri-Iowa Border guerra

 

1837 – Guerra indiana Cherokee, Guerre Seminole, Seconda Guerra Creek, Osage Guerra indiana, Guerra Buckshot

 

1838 – Guerra indiana Cherokee, Guerre Seminole, Guerra Buckshot, Heatherly Guerra indiana

 

1839 – Guerra indiana Cherokee, Guerre Seminole

 

1840 – Guerre Seminole, Forze Navali USA invadono Isole Figi

 

1841 – Guerre Seminole, Forze Navali USA invadono McKean Island, Isole Gilbert, e Samoa

 

1842 – Guerre Seminole

 

1843 – Le forze americane si scontrano con la Cina, le truppe statunitensi invadono costa africana

 

1844 – Guerre indiane Texas-

 

1845 – Guerre indiane Texas-

 

1846 – Guerra messicano-statunitense, guerre Texas-indiane

 

1847 – Guerra messicano-statunitense, guerre Texas-indiane

 

1848 – Guerra messicano-statunitense, guerre Texas-indiane, Guerra Cayuse

 

1849 – Guerre Texas-indiane, Guerra Cayuse, indiano Guerre Southwest, Guerre Navajo

 

1850 – Guerre Texas-indiane, Guerra Cayuse, Southwest guerre indiane, guerre Navajo, Guerra Yuma,

 

1851 – Guerre Texas-indiane, Guerra Cayuse, Southwest guerre indiane, guerre Navajo, Guerre Apache, Guerra Yuma, indiano Guerre Utah, California Guerre indiane

 

1852 – Guerre Texas-indiane, Guerra Cayuse, Southwest guerre indiane, guerre Navajo, Guerra Yuma, indiano Guerre Utah, California Guerre indiane

 

1853 – Guerre Texas-indiane, Guerra Cayuse, Southwest guerre indiane, guerre Navajo, Guerra Yuma, indiano Guerre Utah, Guerra Walker, indiano Guerre California

 

1854 – Guerre Texas-indiane, Guerra Cayuse, Southwest guerre indiane, guerre Navajo, Guerre Apache, California guerre indiane Skirmish entre 1 ° Cavalleria e indiani

 

1855 – Seminole Guerre, guerre Texas-indiane, Guerra Cayuse, Southwest guerre indiane, guerre Navajo, Guerre Apache, California guerre indiane, Guerra Yakima, Winnas Expedition Guerra Klickitat, Puget War Sound, Rogue River guerre, le forze americane invadono Isole Figi e Uruguay

 

1856 – Guerre Seminole, Guerre Texas-indiane, Southwest guerre indiane, Guerre Navajo,

 

1857 – Guerre Seminole, Guerre Texas-indiane, Southwest guerre indiane, Guerre Navajo, Guerra Utah, Conflitto in Nicaragua

 

1858 – Guerre Seminole, Guerre Texas-indiane, Southwest guerre indiane, Guerre Navajo, Guerra Mohave, California guerre indiane, Spokane-Coeur d’Alene Guerra-Paloos, Guerra Utah, le forze americane invadono Isole Fiji e Uruguay

 

Guerre 1859 Texas-indiani, Southwest guerre indiane, Guerre Navajo, California guerre indiane, Pecos Expedition Antelope Hills Expedition, Bear River Expedition, incursione di John Brown, le forze americane lanciano attacchi contro il Paraguay e invadono Messico

 

1860 – Guerre Texas-indiane, Southwest guerre indiane, Guerre Navajo, Guerre Apache, California indiana Guerre Guerra Paiute, Kiowa-Comanche guerra

 

1861 – Guerra civile americana, Guerre Texas-indiane, Southwest guerre indiane, Guerre Navajo, Guerre Apache, California guerre indiane, Campagna Cheyenne

 

1862 – Guerra civile americana, Guerre Texas-indiane, Southwest guerre indiane, Guerre Navajo, Guerre Apache, California guerre indiane Campagna Cheyenne, Guerra Dakota del 1862

 

1863 – Guerra civile americana, Guerre Texas-indiane, Southwest guerre indiane, Guerre Navajo, Guerre Apache, California guerre indiane Campagna Cheyenne, Colorado Guerra, Guerra Goshute

 

1864 – Guerra civile americana, Guerre Texas-indiane, Guerre Navajo, Guerre Apache, California guerre indiane Campagna Cheyenne, Colorado Guerra, Guerra Snake

 

1865 – Guerra civile americana, Guerre Texas-indiane, Guerre Navajo, Guerre Apache, California guerre indiane, Guerra Colorado, Guerra Snake, Black War Hawk Utah

 

1866 – Guerre Texas-indiane, Guerre Navajo, Guerre Apache, California guerre indiane Skirmish entre 1 ° Cavalleria e indiani, Guerra Snake, Guerra Black Hawk di Utah, Guerra di Nuvola Rossa, Franklin County War, ci invade Messico conflitto con la Cina

 

1867 – Texas-Guerre Indiane, lunga passeggiata dei Navajo, Apache Guerra Skirmish , Guerra Snake, guerra Black Hawk di Utah, guerra di Nuvola Rossa, guerra Comanche , Franklin County War, le truppe statunitensi occupano il Nicaragua e attaccano Taiwan

 

1868 – Texas-Guerre Indiane, Long Walk dei Navajo, Apache Guerra Skirmish, Guerra Snake, guerra Black Hawk di Utah, guerra di Nuvola Rossa, guerra Comanche, Battaglia del Washita, Franklin County War

 

1869 – Guerre Texas-indiane, Guerre Apache, guerra Black Hawk di Utah, guerra Comanche , Franklin County War

 

1870 – Guerre Texas-indiane, Guerre Apache, guerra Black Hawk di Utah, Comanche Guerre, Franklin County War

 

1871 – Guerre Texas-indiane, Guerre Apache, guerra Black Hawk di Utah, Comanche Guerre, Franklin County War, Kingsley Cave strage, le forze americane invadono la Corea

 

1872 – Guerre Texas-indiane, Apache Wars, La guerra di Utah Black Hawk, Comanche Guerre Guerra Modoc, Franklin County War

 

1873 – Guerre Texas-indiane, Comanche Guerre Guerra Modoc, Guerre Apache, Cypress Hills Massacre, guerra col Messico

 

1874 – Guerre Texas-indiane, Guerre Guerra Comanche Red River, Mason County Guerra, le forze americane invadono Messico

 

1875 – Conflitto in Messico, Guerre Texas-indiane, Comanche Guerre, Nevada orientale, Mason County War, Colfax County War, le forze americane invadono Messico

 

1876 – Guerre indiane, Texas-nero Guerra Hills, Mason County Guerra, le forze americane invadono Messico

 

1877 – Guerre Texas-indiane, Nero Guerra Hills, Nez Perce Guerra, Guerra Mason County, Lincoln County War, San Elizario Salt guerra, le forze americane invadono Messico

 

1878 – Paiute conflitto indiano, Guerra Bannock, Guerra Cheyenne, Lincoln County War, le forze americane invadono Messico

 

1879 – Guerra Cheyenne, Sheepeater Guerra indiana, Bianco Guerra Fiume, le forze americane invadono Messico

 

1880 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1881 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1882 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1883 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1884 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1885 – Guerre Apache, Orientale Nevada Expedition, Forze invadono Messico

 

1886 – Guerre Apache, Pleasant Valley Guerra, le forze americane invadono Messico

 

1887 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1888 – US dimostrazione di forza contro Haiti, Forze invadono Messico

 

1889 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1890 – Sioux Guerra indiana, Ghost Dance Guerra, Wounded Knee, Forze invadono Messico

 

1891 – Sioux Guerra indiana, Ghost Dance Guerra, le forze americane invadono Messico

 

1892 – Johnson County War, le forze americane invadono Messico

 

1893 – Stati Uniti invadono Messico e Hawaii

 

1894 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1895 – Le forze americane invadono Messico

 

1896 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1897 – Nessuna guerra

 

1898 – Guerra ispano-americana, Battaglia di Leech Lake Chippewa

 

1899 – Guerra filippino-americana, guerra delle banane

 

1900 – Guerra filippino-americana

 

1901 – Guerra filippino-americana

 

1902 – 1912 – Guerra filippino-americana, guerra delle banane

 

1913 – Guerra filippino-americana, guerra della banane, guerra Navajo

 

1914 – Guerra delle banane, Stati Uniti invadono Messico

 

1915 – Guerra delle banane, invasione del Messico Messico, guerra Paiute

 

1916 – Guerra delle banane, Stati Uniti invadno Messico

 

1917 – Guerre delle banane, prima guerra mondiale

 

1918 – Guerre della banana, la prima guerra mondiale

 

1919 – Guerra delle banane, Stati Uniti invadono il Messico

 

1920 – 1934 – Guerre delle banane

 

1935 – 1940 – Nessuna guerra

 

1941 – 1945 – Seconda guerra mondiale

 

1946 – USA occupano Filippine e Corea del Sud

 

1947 – le forze di terra americana in Grecia nella guerra civile

 

1948 – 1949 – Nessuna guerra

 

1950 – 1953 – Guerra di Corea

 

1954 – Guerra in Guatemala

 

1955 – 1958 – guerra del Vietnam

 

1959 – guerra del Vietnam: Conflitto in Haiti

 

1960 – guerra del Vietnam

 

1961 – 1964 – guerra del Vietnam

 

1965 – Guerra del Vietnam, occupazione americana della Repubblica Dominicana

 

1966 – Guerra del Vietnam, l’occupazione americana della Repubblica Dominicana

 

1967 – 1975 guerra del Vietnam

 

1976 – 1978 – nessuna guerra

 

1979 – Guerra Fredda (guerra per procura CIA in Afghanistan)

 

1980 – Guerra Fredda (guerra per procura CIA in Afghanistan)

 

1981 – Guerra Fredda (guerra per procura CIA in Afghanistan e Nicaragua), primo incidente del Golfo della Sirte

 

1982 – Guerra Fredda (guerra per procura CIA in Afghanistan e Nicaragua), Conflitto in Libano

 

1983 – Guerra Fredda (invasione di Grenada, guerra per procura CIA in Afghanistan e Nicaragua), Conflitto in Libano

 

1984 – Guerra Fredda (guerra per procura CIA in Afghanistan e Nicaragua), Conflitto in Golfo Persico

 

1985 – Guerra Fredda (guerra per procura CIA in Afghanistan e Nicaragua)

 

1986 – Guerra Fredda (guerra per procura CIA in Afghanistan e Nicaragua)

 

1987 – Conflitto in Golfo Persico

 

1988 – Conflitto in Golfo Persico, l’occupazione americana di Panama

 

1989 – Seconda Golfo della Sirte incidente, l’occupazione americana di Panama conflitto nelle Filippine

 

1990 – Prima guerra del Golfo, occupazione americana di Panama

 

1991 – Prima guerra del Golfo

 

1992 – Conflitto in Iraq

 

1993 – Conflitto in Iraq

 

1994 – Conflitto in Iraq, Stati Uniti invadono Haiti

 

1995 – Conflitto in Iraq, Haiti, bombardamenti NATO della Bosnia-Erzegovina

 

1996 – Conflitto in Iraq

 

1997 – Nessuna guerra

 

1998 – Bombardamento di Iraq, Afghanistan e missili contro il Sudan

 

1999 – Guerra del Kosovo

 

2000 – nessuna guerra

 

2001 – Guerra in Afghanistan

 

2002 – Guerra in Afghanistan e Yemen

 

2003 – Guerra in Afghanistan e in Iraq

 

2004 – 2006 – Guerra in Afghanistan, Iraq, Pakistan e Yemen

 

2007 – Guerra in Afghanistan, Iraq, Pakistan, Somalia e Yemen

 

2008 – 2010 – Guerra in Afghanistan, Iraq, Pakistan e Yemen

 

2011 – Guerra al Terrore in Afghanistan, Iraq, Pakistan, Somalia e Yemen; Conflitto in Libia (libica guerra civile)

 

2011 – 2015 – Guerra in Afghanistan, Iraq. Guerra civile in Ucraina e Siria

 

 

Nella maggior parte di queste guerre, gli Stati Uniti erano all’offensiva, in alcune sulla difensiva ma abbiamo tralasciato tutte le operazioni segrete della CIA con rivolte, ribaltamento di regimi e altri atti che potrebbero essere considerati atti di guerra.

 

Il 95% delle operazioni militari lanciate dalla fine della seconda guerra mondiale, sono state degli Stati Uniti, la cui spesa militare è maggiore di quella di tutte le altre nazioni del mondo messe insieme. Nessuna meraviglia quindi che il mondo pensi che gli Stati Uniti sono la prima minaccia del mondo per la pace.

 

Eppure ci sono ancora alcuni nord americani (più di quello che sembra) che fanno ancora la domanda:Perché tutte queste persone nel mondo ci odiano?”

E la risposta della propaganda USA è sempre, invariabilmente, la stessa “…perché sono gelosi di noi, della nostra libertà, della nostra grandezza. Gelosi della nostra cultura…”

 

Ecco, soprattutto della loro cultura e del loro squisito modo di rapportarsi col prossimo.

 

 

 

Fonte: visto su INFORMARE, i Il Blog di Gianni Fraschetti del 26 febbraio 2015

Link: http://informare.over-blog.it/2015/02/gli-stati-uniti-sono-stati-in-guerra-222-anni-su-239-che-esistono-come-stato.html

 


LA MASSONERIA, IL COMUNISMO E LA CORRUZIONE DELLA GIOVENTÙ

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«La musica è il principale interesse della gioventù moderna. Non ha alcuna importanza se gli anziani non lascoltano, poiché essi sono finiti in ogni modo».

l’ex beatle George Harrison (1943-2001)

 

«Abbiamo associato giovinezza, musica, sesso, droga e rivoluzione con tradimento: è molto difficile andare oltre».

 

Jerry Rubin (1938-1994), attivista politico comunista americano

«Corromperemo così tanto lOccidente che puzzerà».

 

Willy Münzenberg (1889-1940), teorico della Scuola di Francoforte

Distruggere il cattolicesimo

 

 

Quali fini si prefigge la setta massonica? Secondo tutti gli studiosi più accreditati di questa piovra sotterranea e per ammissione di numerosi suoi adepti, si tratta in sintesi dei fini perseguiti da tutte le altre Società Segrete e dagli altri movimenti che gravitano intorno ad essa, ovvero l’edificazione del «Tempio di Salomone», la realizzazione della «Grande Opera», che altro non è che la creazione di una «nuova natura umana» 1 e l’instaurazione di un Nuovo Ordine Mondiale (quello che i mondialisti chiamano One World) sotto l’egida della setta.

 

Ma la creazione di una nuova natura umana e di un Mondo Nuovo passa inevitabilmente attraverso quella serie di operazioni che risponde alla prima fase del famoso motto programmatico solve et coagula («dissolvi e ricomponi»), ossia attraverso la rimozione forzata di tutti quegli ostacoli sociali, politici e soprattutto religiosi che, per la loro stessa natura, impediscono la realizzazione di questo disegno 2.

Il principale intralcio che ostruisce il cammino verso la nuova umanità è la Chiesa di Roma, colpevole, secondo i massoni, di imporre all’umanità una morale avvilente 3 e una dottrina superstiziosa che offende la ragione umana impedendo agli individui di prendere coscienza della propria insigne dignità.

 

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Papa Leone XIII

 

Ecco come descrive questa ostilità con vibranti parole Papa Leone XIII (1810-1903):

«Il principale ed ultimo dei suoi fini (della Massoneria; N.d.R.) è distruggere dalle fondamenta tutto lordine religioso nato dall’istituzione cristiana e creare un nuovo ordine a suo arbitrio che tragga fondamenti e norme dal materialismo» 4.

Si tratta di una guerra plurisecolare tra due mondi contrapposti – o, come l’ha definita il canonico francese Mons. Henri Delassus (1836-1921), dell’«antagonismo tra due civiltà» 5 – fra due modi inconciliabili fra loro di concepire l’essere umano nella sua totalità, così descritta dal massone Lafargue al Congresso massonico di Liegi del 1865:

«Sono quattrocento anni (ossia dall’umanesimo rinascimento; N.d.R.) che noi scalziamo il cattolicesimo, la macchina più forte che sia stata inventata in fatto di spiritualismo. Essa è ancora solida, disgraziatamente» 6.

 

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Madame Helena Petrovna Blavatsky 

 

«Nostro scopo – affermò a sua volta la teosofa Madame Helena Petrovna Blavatsky (1831-1891) – non è di restaurare l’induismo, ma di cancellare il cristianesimo dalla faccia della Terra» 7.

 

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Annie Besant.

 

A queste parole chiare fanno eco quelle di un’altra teosofa, Annie Besant (1847-1933), che nel suo discorso di chiusura al Congresso dei Liberi Pensatori, tenutosi a Bruxelles nel 1880, dichiarò: «Innanzitutto combattere Roma e i suoi preti, lottare ovunque contro il cristianesimo e scacciare Dio dai cieli» 8.

 

Se dunque l’intollerante Chiesa romana, con la sua enorme sfera d’influenza, mantiene da due millenni l’uomo in uno stato di totale ignoranza negandogli la felicità a cui ha pieno diritto, va da sè che il compito primario dei massoni sarà quello di sottrarre le masse a detta influenza, e soprattutto i giovani, non ancora totalmente imbevuti di cristianesimo come gli anziani, facendo leva sia sulla loro indole ribelle, che sulla loro maggiore sensibilità a rivendicazioni di carattere libertario. Non a torto, quindi, l’occultista John Symonds (1914-2006) definisce il maestro Aleister Crowley (1875-1947) «l’eroe non celebrato degli hippies» che con il suo Do What Thou WiltFà ciò che vuoi») – parente stretto del Do It («Fallo») di Jerry Rubin – richiama gli stessi stati d’animo su cui si fonda la ribellione a base di spinelli dei figli dei fiori 9.

 

 

«FATE DEI CUORI VIZIOSI»!

 

 

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Massoni

 

Ma per distogliere i giovani dalla visione cristiana della vita e renderli sempre più docili e arrendevoli al nuovo «vangelo» proveniente da quei «laboratori di idee» che sono le Logge massoniche e i circoli iniziatici, è stato prima necessario allontanarli dalla morale cattolica con un lento processo a tappe di cui si conservano ancora alcuni documenti, sulla cui autenticità non è lecito dubitare.

Il primo di essi, estratto da un carteggio massonico finito nelle mani di Papa Pio IX (1792-1878), e reso pubblico per sua volontà. Si tratta di una lettera inviata dal carbonaro Nubius al Fratello tripuntato Volpe il lontano 3 aprile 1824, in cui si dice:

«Il cattolicesimo, meno ancora della monarchia, non teme la punta di uno pugnale ben affilato; ma queste due basi dell’ordine sociale possono cadere sotto il peso della corruzione. Non stanchiamoci dunque mai di corrompere. Tertulliano diceva con ragione che il sangue dei martiri è il seme dei cristiani. Ora, è deciso nei nostri consigli, che noi non vogliamo più cristiani; non facciamo dunque dei martiri, ma rendiamo popolare il vizio nelle moltitudini. Occorre che lo respirino con i cinque sensi, che lo bevano, che ne siano sature. Fate dei cuori viziosi e voi non avrete più cattolici […].

Ma perché sia profonda, tenace e generale, la corruzione delle idee deve cominciare fin dalla fanciullezza, nell’educazione. Schiacciate il nemico, qualunque esso sia, dicevano le istruzioni, ma soprattutto, schiacciatelo quando è ancora nelluovo. Alla gioventù infatti bisogna mirare: bisogna sedurre i giovani, attirarli, senza che se accorgano. Andate alla gioventù e, se è possibile, fin dall’infanzia» 10.

 

Il secondo documento è stato pubblicato nel 1944 dalla Rivista Diocesana di Milano, diretta dal Cardinale Ildefonso Schuster o.s.b. (1880-1954), Arcivescovo di quella città. Si tratta di una deliberazione presa durante un Congresso massonico tenutosi in Svizzera nel 1928 (ossia ben centoquattro anni dopo il primo documento, di cui tra l’altro conserva intatto lo stile), nel quale si auspicava l’introduzione di una moda sempre più audace tra la gioventù:

«La religione non teme la punta del pugnale, ma può cadere sotto il peso della corruzione. Non stanchiamoci, dunque, mai di corrompere, magari servendoci del pretesto dell’igiene, dello sport, della stagione, ecc… Per corrompere bisogna che i nostri figli realizzino lidea del nudo. Per evitare ogni opposizione, bisognerà progredire metodicamente: prima mezze braccia nude, poi mezze gambe; poi le braccia e le gambe tutte scoperte; quindi le parti superiori del torace, del dorso, ecc…» 11.

 

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Il terzo documento, molto più vicino a noi nel tempo, ma immutato nel contenuto rispetto ai primi due, è stato oggetto di un articolo di Mons. W. McGrath per la rivista Scarboro Mission di Toronto, pubblicato nel marzo del 1956:

«Nel dicembre 1952, in una cittadina del Nuovo Messico (U.S.A.), la Massoneria organizzò un convegno di persone influenti degli Stati Uniti. Uno dei convenuti, cattolico, fu colpito da malore mortale, e tramite un amico fece chiamare segretamente un sacerdote. Sentendosi vicino al giudizio di Dio, dopo avere ricevuto i Sacramenti, confidò al sacerdote: “Se io avessi la speranza di sopravvivere, lei adesso non sentirebbe ciò che le voglio rivelare. Sì… ora io voglio che lei avverta il popolo degli Stati Uniti, appena può, di questo vasto piano che abbiamo progettato per il 1953: un piano di degradazione morale della gioventù dAmerica per scristianizzarla. Abbiamo già cominciato a realizzarlo e lo perfezioneremo con i seguenti mezzi: il cinema, le pubblicazioni porno a buon prezzo, i libri comici con storie di sesso e di violenza; ultimo mezzo, ma non il più piccolo, la televisione… non osiamo andare troppo lontano con la televisione, per il momento. Ma essa ci riserva un uditorio immenso, e sarà il mezzo migliore per accostare i bambini. Il nostro piano è di incoraggiare dapprima delle rappresentazioni amorali, se non subito immorali; così, graduando progressivamente la malvagità, tutta calcolata, si avrà il possesso di tutta la gioventù. Sarà tenuta occupata tutto il giorno, senza lasciare spazio per la religione. Così, i giovani al loro risveglio e al loro coricarsi a sera avranno la testa piena di cowboys, di omicidi, di terrore, e di cartoni animati inoffensivi. Tutto questo per allontanare dal loro animo immagini religiose. In questo modo, i bambini saranno disorientati per anni. Poi, quasi occasionalmente, si introdurranno costumi sfrontati e scene licenziose allo scopo di distruggere il senso del pudore“» 12.

 

Seppur distanti nel tempo e nello spazio, questi tre documenti, a dir poco profetici, visto il raggiungimento quasi completo degli obiettivi, mostrano l’esistenza di un’unica direttiva perseguita infaticabilmente fino ai nostri giorni: pervertire la classe giovanile con tutti i mezzi possibili per allontanarla dall’idea stessa di cristianesimo e introdurla in quel nuovo paradiso terrestre preparatoci dai massoni (e dai comunisti).

 

 

DIRETTIVE MARXISTE

 

 

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Le istruzioni che seguono sono state diramate negli anni Settanta, quando metà dell’umanità gemeva sotto il giogo comunista e l’Unione Sovietica mirava ad espandere la sua influenza culturale e politica sulle masse dell’Occidente. Oggi l’impero comunista non esiste più, ma in oltre settant’anni il veleno dell’ideologia è penetrato in profondità nel tessuto sociale e particolarmente nella cultura giovanile, perennemente alla ricerca di chimere libertarie. Il tono e gli obiettivi sono gli stessi della Massoneria, la quale si è servita del comunismo (una creatura del capitalismo selvaggio) per corrompere la classe meno agiata.

Ecco un diktat estratto dal Manuale per i comunisti della Florida:

«Corrompete la gioventù, alienatela dalla religione, fissate la loro attenzione sul sesso, lasciateli diventare superficiali, distruggete il loro idealismo, provocate con ogni mezzo il crollo delle virtù morali, dell’onestà, della purezza» 13.

 

Dalla Parola d’ordine del Partito Comunista Italiano:

 

«Il nostro compito è di promuovere l’ondata della pornografia e di presentarla con simpatia come il fine supremo della libertà artistica».

 

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Lenin

 

La parola al leader sovietico Lenin (1870-1924):

 

«Se vogliamo distruggere una nazione, dobbiamo prima distruggere la sua morale; poi ci cadrà in grembo come un frutto maturo. Svegliate linteresse della gioventù per il sesso e sarà vostra».

 

Dalle Direttive date ai comunisti degli Stati Uniti:

 

«Abrogare tutte le leggi contro loscenità. Distruggere il senso morale diffondendo la pornografia nei libri, nei periodici, nei film alla radio e in televisione. Presentare le degenerazioni sessuali come normali, naturali, favorevoli all’equilibrio psichico e igienico. Distruggere la famiglia, favorendo le unioni libere e il divorzio».

 

Ecco un estratto dal libro Asiatici (1925), del romanziere Artur Landsberger (1876-1933):

 

«Un Paese non è altro che un corpo gigantesco: chi regola le sue funzioni genitali, influenza tutto il corpo e lo riduce in suo potere. Si prende un Paese attraverso il suo istinto più sviluppato, allora, quella generazione, senza più ritegno, perderà le sue forze e sarà in preda a un’ebbrezza di cui noi potremo regolarne la durata. Creando sempre nuovi stimoli, sapremo rendere permanete quell’ebbrezza e fare del Paese unisola di ossessi».

 

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Michail Bakuni

 

Ecco il pensiero di Michail Bakunin (1814-1876), rivoluzionario russo e iniziatore del movimento anarchico internazionale:

 

«In questa rivoluzione dovremo risvegliare il diavolo nel popolo e in lui le passioni più vili».

 

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Jean Cau

 

Jean Cau (1925-1933), scrittore e giornalista francese:

 

«Quando l’uomo sarà divenuto un essere che striscia, che grugna e salta sulla femmina, e voi continuerete soltanto ad accarezzare il suo sesso e a scatenare la bestia che è in lui, allora il porcile diventerà un macello. La carne che offrite nelle vostre riviste illustrate è buona tutt’al più ad essere venduta, schernita, torturata, uccisa e bruciata».

 

Direttiva massonica:

 

«La prima conquista da fare è la conquista della donna. La donna deve esser liberata dalle catene della Chiesa e dalla legge […].

Per abbattere il cattolicesimo, bisogna cominciare col sopprimere la dignità della donna, la dobbiamo corrompere assieme alla Chiesa. Diffondiamo la pratica del nudo: prima le braccia, poi le gambe, poi tutto il resto. Alla fine, la gente andrà in giro nuda, o quasi, senza più batter ciglio. E, tolto il pudore, si spegnerà il senso del sacro, s’indebolirà la morale e morirà per asfissia la fede».

 

 

LA SCUOLA DI FRANCOFORTE

 

 

Nel 1923, su ordine di Lenin, venne fondato a Francoforte un Istituto per il Marxismo.

 

Prima idea-chiave:

«”Una strategia che potrebbe provocare una simile disintegrazione, una tale corruzione, una tale erosione dell’Occidente, ovvero la “rivoluzione culturale“, potrebbe essere l’unica in grado di creare le condizioni preliminari della rivoluzione comunista […].

L’ostacolo, è la civiltà occidentale stessa e la cultura che genera […].

La civiltà occidentale ha molte roccaforti che costituiscono altrettanti ostacoli: la morale che proviene dalla religione, la famiglia, l’attenzione rivolta al passato come guida per l’avvenire, la padronanza sugli istinti primari dell’uomo, e un’organizzazione sociale e politica che garantisce la libertà senza invitare alla licenza. E, di tutti questi ostacoli, i due più grandi sono Dio immanente, sempre presente, e la famiglia”. Era il messaggio di Marx nel 1843, scritto prima che si lanciasse in una teoria economica pseudo-scientifica. A quel tempo, egli invitava ad una critica spietata di tutto ciò che esiste, ma in modo speciale della religione, della scienza e della famiglia […].

Quando l’uomo occidentale sarà “liberato” dalla sua umanità, e immergerà le sue radici nel fango, la nuova società politica potrà sorgere» […].

Dobbiamo organizzare gli intellettuali e utilizzarli per corrompere lOccidente. Quando avranno corrotto tutti i suoi valori, solo allora potremo imporre la dittatura del proletariato» .

 

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Sigmund Freud

 

Seconda idea-chiave: sfruttare in un’ottica marxista le idee di Sigmund Freud (1856-1939).

«Lo svilimento della concezione degli istinti sessuali dell’uomo è stato iniziato da Freud […]. Il sesso, il campo più esplosivo della psiche umana, dev’essere scatenato. Un’amalgama di neo-freudismo e di neo-marxismo dovrà distruggere le difese del fragile sistema immunitario della civiltà occidentale» 14.

 

Un mezzo per scatenare i sensi? La musica!

 

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Hippies

 

«All’Università di Princeton, un membro della scuola, Paul Lazarsfeld, condusse il “Progetto di Studi sulla Radio”, una ricerca innovativa nel campo delle scienze sociali, finanziata dalla Fondazione Rockefeller e dall’Esercito americano. Théodor Adorno, uno dei leader della Scuola di Francoforte, ottenne la cattedra del Dipartimento di Studi Musicali sotto la direzione di Lazarsfeld, dove scrisse, durante gli anni ‘30 e ‘40, sull’interesse che presenterebbe la diffusione massiccia di musiche atonali e di altre forme di musiche per distruggere la società. In un’opera storica, “Philosophy of Modern Music” (“La filosofia della musica moderna”), Adorno raccomandò l’utilizzo su grande scala di forme musicali degenerate per sviluppare certe malattie mentali, ivi compresa la necrofilia. Egli scrisse altrove che era possibile abbattere gli Stati Uniti utilizzando la radio e la televisione per sviluppare una cultura basata sul pessimismo, sulla disperazione e sullodio di sè» 15.

 

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Théodor Adorno

 

Già nel 1939, il filosofo, sociologo e musicologo tedesco Théodor Adorno (1903-1969), il pifferaio magico della contestazione sessantottina, scriveva:

«In uno spazio immaginario ma psicologicamente carico di emozioni, l’ascoltatore che ripensa ad una canzone di successo si immedesimerà nel soggetto ideale della canzone, nella persona a cui, idealmente, la canzone si rivolge. Allo stesso tempo, essendo uno dei tanti che si immedesimano in quel soggetto fittizio, quell’Io musicale, l’ascoltatore, sentirà un sollievo nel suo isolamento per ché si sentirà integrato nella comunità dei fans. Fischiettando tale canzone si piega un rituale di socializzazione, nonostante che, una volta passato questo momento di commozione soggettiva non articolata, il suo isolamento continui immutato […]. Il paragone con il drogato è inevitabile. La condotta di un drogato ha di solito anche una componente sociale: essa è una possibile forma di reazione all’atomizzazione che, come hanno notato i sociologi, procede parallelamente alla compressione dei contatti sociali. Drogarsi con la musica, per un certo numero di ascoltatori, sarebbe un fenomeno simile» 16.

 

Concludono gli autori del libro Droga S.p.A.:

«Lo scopo dichiarato, come affermò Adorno stesso, era la creazione di una cultura musicale di massa che avrebbe sistematicamente degradato i suoi fruitori. La musica punk rock è il risultato finale del lavoro di Adorno» 17.

 

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Herbert Marcuse

 

Scrive l’altro «cattivo maestro» Herbert Marcuse (1898-1979), il padre della della contestazione studentesca degli anni Sessanta:

«Si può parlare a buon diritto di rivoluzione culturale, poiché la contestazione è rivolta all’insieme dell’”établissement” culturale, ivi comprese le basi morali dell’attuale società. L’idea e la strategia tradizionale di rivoluzione […] sono decadute […]. Ciò che dobbiamo intraprendere è un tipo di disintegrazione del sistema che sia diffuso e disperso» 18.

Cosa di meglio di un mezzo così apparentemente innocente come la musica?

 

 

 

Da sinistra: Sigmund Freud, Théodor Adorno e Herbert Marcuse.

 

 

NOTE

 

1 Ecco come l’ex Gran Maestro Pierre Felix Simon, della Gran Loggia di Francia, colui che ha perorato con tutti i mezzi l’introduzione nel proprio Paese della Legge Veil, che regolarizza l’aborto, descrive, a proposito del concetto di vita, il cambiamento radicale di cui necessita l’umanità: «Il terzo ruolo della contraccezione è la modulazione di un nuovo schema della famiglia […]. La regolazione delle nascite, istituzionalizzata, porterà ad un cambiamento della morale […], un nuovo codice etico […]. È certamente […] la definizione possibile di una nuova sessualità, la creazione, al limite, di una nuova natura umana e di un nuovo concetto di vita» (cfr. P. F. Simon, De la vie avant toute chose, Edizioni Mazarine, Parigi 1979, pagg. 96, 146, 199, 255).

 

2 L’instaurazione dell’One World, ossia di una Repubblica Universale, un sogno accarezzato a lungo dai massoni, onde superare l’ostacolo costituito dalla memoria storica e dall’identità propria di ogni popolo, deve necessariamente essere preceduta dalla confusione delle razze e delle religioni da ottenersi mediante la creazione di quell’enorme calderone che è la società multietnica e multireligiosa di cui oggi tanto si parla.

 

3 Questa accusa verso la Chiesa romana risuona anche sulle labbra del giornalista V. Vale nel corso di un’intervista ad Anton Szandor LaVey (1930-1997), fondatore della Church of Satan: «Io voglio incoraggiare qualsiasi cosa sia un pronunciamento contro il cristianesimo, perché negli ultimi cinquecento anni i missionari cristiani hanno sistematicamente distrutto quasi tutte le culture diversificate del mondo, facendone un posto molto meno interessante. Nessun altra religione – buddismo, islam, confucianesimo, paganesimo – ha fatto nemmeno la metà dei danni che ha fatto il cristianesimo. […] Non sarà mai troppo presto per liberarci di questa pesta di credenze aliene. Ecco: neanche gli alieni venuti dallo spazio potrebbero inventare un’arma più sconvolgente della religione cristiana da usare contro i popoli del pianeta Terra. La religione cristiana, specie quella cattolica, con i suoi atteggiamenti poco scientifici, irresponsabili, suicidi, verso il controllo delle nascite, è responsabile del più grande problema non affrontato nel mondo odierno: la sovrappopolazione. In meno di 25 anni la popolazione mondiale è raddoppiata da da 2,5 a 5 miliardi e oltre. Le popolazioni che si riproducono più velocemente pur avendo le risorse minori – quelle dell’America Latina e dell’Africa – sono per lo più cristiane, e generalmente sono cattoliche» (cfr. A. Juno,-V. Vale, Tatuaggi corpo spirito, pag. 105).

 

4 Cfr. Papa Leone XIII, Lettera Enciclica Humanum genus, 1884.

 

5 Mons. Delassus è l’autore di una pregevole opera in due volumi intitolata appunto Il problema dell’ora presente. Antagonismo tra due civiltà (Desclée & C. Tipografi-Editori, Roma 1907).

 

6 Cfr. AA. VV., La Massoneria. Ecco il nemico!, Editrice Civiltà, Brescia 1995.

 

7 Cfr. R. Guénon, Il Teosofismo, Edizioni Arktos, 1987, vol. I, pag. 13. La Teosofia è stata una sètta massonica che ha cercato di introdurre la spiritualità orientale in Occidente.

 

8 Ibid.

 

9 Cfr. C. Wilson, Aleister Crowley, Gremese Editore, Roma 1990, pagg. 151-152.

 

10 Cfr. Mons. H. Delassus, op. cit., vol. I, pagg. 248-249, 259.

 

11 Cfr. Révue Internationelle des Sociétes Secrétes, Parigi 1928, pag. 2062-2063.

 

12 Questo fatto venne riportato anche dalla rivista L’Action Catholique de Québec, del 31 maggio 1956.

 

13 Questa e le successive citazionisono state estratte dall’opera di don Enzo Boninsegna intitolata Perché il pudore? Rifletti! «Un comunista americano ha confessato, ultimamente, di avere propagato la letteratura pornografica, per ventisette anni, per corrompere la gioventù americana» (cfr. K. Kock, Il tramonto del mondo libero, pag. 37; cit. in I. A. Santangelo, L’ultima battaglia, Comunità Editrice, Catania 1985, pag. 35).

 

14 Cfr. R. de Toledano, L’École de Francfort («La scuola di Francoforte»), pagg. 14-15.

 

15 Cfr. J. Steinberg, Draft Report on Manchurian Children.

 

16 Cfr. T. Adorno, Introduzione alla sociologia della musica, Einaudi, Torino 1971.

 

17 Cfr. K. Kalimtgis-D. Goldman-J. Steinberg, Droga S.p.A.. La guerra dell’oppio, Edizioni Logos, Roma 1980, pagg. 417, nota nº 18.

 

18 Cfr. The Resister, Estate-Autunno 1998.

 

 

 

Fonte: da Losai del 11 gennaio 2014

Link: http://www.losai.eu/la-massoneria-il-comunismo-e-la-corruzione-della-gioventu-2/

 

BRUNO VESPA SMASCHERA I COMPAGNI SEGUACI DEL DUCE

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Scrittori, giornalisti e artisti: erano molti quelli che volevano collaborare alla rivista fondata nel 1940 da Giuseppe Bottai, gerarca illuminato ma anche il più feroce sostenitore delle leggi razziali

 

 

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In quegli anni, Bottai poté contare sulla fervida collaborazione del meglio della cultura italiana: Giorgio Vecchietti (condirettore), Nicola Abbagnano, Mario Alicata, Corrado Alvaro, Cesare Angelini, Giulio Carlo Argan, Riccardo Bacchelli, Piero Bargellini, Arrigo Benedetti, Carlo Betocchi, Romano Bilenchi, Walter Binni, Alessandro Bonsanti, Vitaliano Brancati, Dino Buzzati, Enzo Carli, Emilio Cecchi, Luigi Chiarini, Giovanni Comisso, Gianfranco Contini, Galvano Della Volpe, Giuseppe Dessì, Enrico Emanuelli, Enrico Falqui, Francesco Flora, Carlo Emilio Gadda, Alfonso Gatto, Mario Luzi, Bruno Migliorini, Paolo Monelli, Eugenio Montale, Carlo Muscetta, Piermaria Pasinetti, Cesare Pavese, Giaime Pintor, Vasco Pratolini, Salvatore Quasimodo, Vittorio G. Rossi, Luigi Russo, Luigi Salvatorelli, Sergio Solmi, Ugo Spirito, Bonaventura Tecchi, Giovanni Titta Rosa, Giuseppe Ungaretti, Nino Valeri, Manara Valgimigli, Giorgio Vigolo, Cesare Zavattini. Musicisti come Luigi Dallapiccola e Gianandrea Gavazzeni. Artisti come Amerigo Bartoli, Domenico Cantatore, Pericle Fazzini, Renato Guttuso, Mino Maccari, Mario Mafai, Camillo Pellizzi, Aligi Sassu, Orfeo Tamburi.

 

GIUSEPPE UNGARETTI

 

Una crisi di coscienza colse Giuseppe Ungaretti. Il poeta notò durante il regime che «tutti gli italiani amano e venerano il loro Duce come un fratello maggiore» e si definì «fascista in eterno», firmando documenti e appelli per sostenere il fascismo. Salvo firmarne di uguali e contrari alla fine della guerra come alfiere dell’antifascismo, tanto da meritare una grande accoglienza a Mosca da parte di Nikita Kruscev.

 

NORBERTO BOBBIO

 

Norberto Bobbio da studente si era iscritto al Guf, l’organismo universitario fascista, e poi aveva mantenuto la tessera del partito, indispensabile per insegnare. Colpito per frequentazioni non sempre ortodosse da una lieve sanzione che avrebbe potuto comprometterne la carriera, Bobbio cercò ovunque raccomandazioni per emendarsi. Suo padre Luigi si rivolse al Duce, lo zio al quadrumviro De Bono, lo stesso giovane docente a Bottai («con devota fascistica osservanza»). Fu interessato anche Giovanni Gentile, che intervenne con successo presso Mussolini. Alla fine, Norberto ebbe la cattedra tanto desiderata. Nel dopoguerra, Bobbio diventò un maître à penser della sinistra riformista italiana. Ma il tarlo del passato lo consumò fino a una clamorosa intervista liberatoria rilasciata il 12 novembre 1999 a Pietrangelo Buttafuoco per Il Foglio : «Noi il fascismo l’abbiamo rimosso perché ce ne ver-go-gna-va-mo. Ce ne ver-go-gna-va-mo. Io che ho vissuto la “gioventù fascista” tra gli antifascisti mi vergognavo prima di tutto di fronte al me stesso di dopo, e poi davanti a chi faceva otto anni di prigione, mi vergognavo di fronte a quelli che diversamente da me non se l’erano cavata».

 

INDRO MONTANELLI

 

Montanelli non ha fatto mai mistero di essere stato fascista. (Fu, anzi, un fascista entusiasta). «Sono stato fascista, come tutte le persone della mia generazione», ammise nella sua “Stanza” sul Corriere della Sera nel 1996. «Non perdo occasione per ricordarlo, ma neanche di ripetere che non chiedo scusa a nessuno». Anche nella più sfacciata adulazione del Duce, Montanelli scriveva pezzi di bravura come questo del 1936: «Quando Mussolini ti guarda, non puoi che essere nudo dinanzi a Lui. Ma anche Lui sta, nudo, dinanzi a noi. Il Suo volto e il Suo torso di bronzo sono ribelli ai panneggi e alle bardature. Ansiosi e sofferenti, noi stessi glieli strappiamo di dosso, mirando solo alla inimitabile essenzialità di questo Uomo, che è un vibrare e pulsare formidabilmente umani. Dobbiamo amarlo ma non desiderare di essere le favorite di un harem».

 

GIORGIO BOCCA

 

«Quando cominciò il nostro antifascismo? Difficile dirlo…». Dev’essere cominciato tardi, quello di Giorgio Bocca, se è vero quanto egli stesso scrive nel racconto «La sberla… e la bestia» pubblicato l’8 gennaio 1943 su La provincia granda , foglio d’ordini settimanale della federazione fascista di Cuneo. Il 5 gennaio Bocca aveva incontrato in treno sulla linea Cuneo-Torino l’industriale Paolo Berardi, il quale diceva ad alcuni reduci dalla Russia e dalla Francia che la guerra era ormai perduta. Bocca ascoltò, poi gli diede un ceffone e lo denunciò alla polizia per disfattismo. Due anni prima, sullo stesso settimanale, il giovane giornalista aveva scritto un lungo articolo su I protocolli dei Savi di Sion , che si sarebbero rivelati poi (ma lui, ovviamente, non lo sapeva) il falso più clamoroso della propaganda antisemita. Le prime righe dell’articolo recitano: «Sono i Protocolli dei Savi di Sion un documento dell’Internazionale ebraica contenente i piani attraverso cui il popolo Ebreo intende giungere al dominio del mondo…». E le ultime: «Sarà chiara a tutti, anche se ormai i non convinti sono pochi, la necessità ineluttabile di questa guerra, intesa come una ribellione dell’Europa ariana al tentativo ebraico di porla in stato di schiavitù».

 

DARIO FO

 

Dario Fo si arruolò a 18 anni come volontario prima nel battaglione Azzurro di Tradate (contraerea) e poi tra i paracadutisti del battaglione Mazzarini della Repubblica sociale italiana. Il 9 giugno 1977, quando Fo era ormai da anni celebre per il suo lavoro teatrale Mistero buffo , un piccolo giornale di Borgomanero (Novara), Il Nord , pubblicò una lettera di Angelo Fornara che ne raccontava i trascorsi repubblichini. Fo sporse querela con ampia facoltà di prova, ma il processo non ebbe l’esito da lui sperato. Secondo quanto riferì Il Giorno (8 febbraio 1978), l’attore disse in aula che il suo «arruolamento era una questione di metodi di lotta partigiana» per coprire l’azione antifascista della sua famiglia. Ma le testimonianze furono implacabili. Il suo istruttore tra i parà, Carlo Maria Milani, mise a verbale: «L’allievo paracadutista Dario Fo era con me durante un rastrellamento nella Val Cannobina per la conquista dell’Ossola, il suo compito era di armiere porta bombe». E l’ex comandante partigiano Giacinto Lazzarini lo inchiodò: «Se Dario Fo si arruolò nei paracadutisti repubblichini per consiglio di un capo partigiano, perché non l’ha detto subito, all’indomani della Liberazione? Perché tenere celato per tanti anni un episodio che va a suo merito?». Una testimone, Ercolina Milanesi, lo ricorda «tronfio come un gallo per la divisa che portava e ci tacciò di pavidi per non esserci arruolati come lui. L’avremmo fatto, ma avevamo quindici anni…». L’11 marzo 1978, mentre il processo contro gli accusatori di Fo era in pieno svolgimento, Luciano Garibaldi pubblicò sul settimanale Gente una foto dell’attore in divisa della Repubblica sociale (altissimo, magrissimo come è sempre stato) e un suo disegno dove appaiono alcuni camerati con le anime dei partigiani uccisi che escono dalle canne dei mitra («Sono apocrife e aggiunte da altri», si difenderà). Il 7 marzo 1980 il tribunale di Varese stabilì che «è perfettamente legittimo definire Dario Fo repubblichino e rastrellatore di partigiani». Il futuro premio Nobel non ricorse in appello e la sentenza divenne definitiva.

 

VITTORIO GORRESIO

 

Vittorio Gorresio, una delle firme più brillanti della sinistra riformista del dopoguerra, scriveva cose impegnative sulla gioventù hitleriana: «Così pregano gli ariani piccoli, ora che, dissipato il fumo del rogo ove furon arsi i venticinquemila volumi infetti di semitismo, l’atmosfera tedesca è più limpida e chiara». E nel 1936 sulla Stampa, il giornale di cui sarebbe diventato negli anni Sessanta la prima firma politica, confessava: «Ringrazio Dio perché ci ha fatto nascere italiani ed è con gli occhi lucidi che si sente nell’animo la gratitudine del Duce».

 

EUGENIO SCALFARI

 

Nonostante la giovane età, Scalfari era riuscito a far pubblicare alcuni scritti di Calvino su Roma fascista, era diventato amico di Bottai, che chiamava «il mio Peppino», e fino alla caduta del fascismo sostenne con convinzione l’economia corporativa. Ma va ascritto a suo merito di aver sempre parlato nel dopoguerra di «quaranta milioni di fascisti che scoprirono di essere antifascisti», non nascondendo mai le sue ferme convinzioni giovanili.

 

ENZO BIAGI

 

Montanelli collaborò a Primato come Enzo Biagi, che nel dopoguerra non ha negato i suoi trascorsi (scrisse anche per la rivista fascista bolognese Architrave ) e la gratitudine per Bottai. Ma i suoi avversari, spulciando negli archivi, hanno scovato altri episodi. Secondo il racconto di Nazario Sauro Onofri in I giornali bolognesi nel ventennio fascista, nel 1941 Biagi, allora ventunenne, recensì il film Süss l’ebreo , formidabile strumento della propaganda antisemita di Himmler, sul foglio della federazione fascista bolognese L’assalto , scrivendo che il pubblico «era trascinato verso l’entusiasmo» e «molta gente apprende che cosa è l’ebraismo e ne capisce i moventi della battaglia che lo combatte». (Biagi era in buona compagnia, perché sullo stesso giornale, fortemente antisemita, si scatenava anche il giovanissimo Giovanni Spadolini, mentre una lusinghiera recensione allo stesso film fu firmata dal regista Carlo Lizzani). Biagi restò al Resto del Carlino, controllato dai fascisti e ormai anche dai nazisti, fino alla tarda primavera del 1944, ricevendo – come tutta la redazione – generosi sussidi economici dal ministero della Cultura popolare (il Minculpop). Dieci mesi dopo entrava a Bologna con le truppe americane.

 

 

Fonte: da il Giornale.it   del 6 novemnre 2014

Link: http://www.ilgiornale.it/news/politica/quanti-fascisti-antifascisti-vespa-smaschera-i-compagni-1065432.html

 

VERONA VINITALY: PRESENTATO IL FILM “IL LEONE DI VETRO”

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Verona – Presentazione (martedì 8 aprile 2014 ) nello stand del Consorzio Vini Venezia all’interno del Vinitaly, del lungometraggio storico – culturale “Il Leone di vetro” prodotto dalla padovana Venicefilm con Cultour Active e Running Tv International, che uscirà nelle sale in autunno.

 

Il film, diretto da Salvatore Chiosi, racconta le vicende della famiglia Biasin, produttori di Raboso del Piave, che commerciano in tutta Europa. “Siamo agli albori della Regione del Veneto e dell’Italia, nel 1866, nei giorni del referendum – ricorda Giorgio Piazza, il Presidente del Consorzio Vini Venezia – e i nostri prodotti sono stati inseriti in questa cornice storica, per parlare in modo intelligente del nostro territorio. Basti pensare al Malanotte vino simbolo di grande qualità e spessore che ne Il Leone di Vetro viene raccontato anche attraverso il suo splendido Borgo, Borgo Malanotte”.

Nel film ambientato appunto nel periodo storico dell’annessione del Veneto al Regno d’Italia, ripercorre, attraverso un flashback, anche le vicende delle Pasque Veronesi del 1797, dell’insurrezione della città di Verona contro l’impero napoleonico.

Le location dell’opera sono dislocate nei territori a destra del Piave, luoghi di produzione del Raboso e del Malanotte. A sostenere il film la Regione del Veneto, la Provincia di Treviso e nuovamente Treviso Film Commission: “con Venice Film – precisa Alessandro Martini – c’è una collaborazione che è nata un paio di anni fa e per il territorio trevigiano il cinema è divenuto da tempo un interlocutore, la prossima settimana saremo, ad esempio, in prima serata con una fiction su RaiUno che si intitola La Tempesta”.

 

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Alla conferenza ha preso parte anche il  Presidente della Regione Luca Zaia, ricordando il Veneto come primo produttore nazionale con circa nove milioni di ettolitri, quattro milioni e mezzo con etichetta e sottolineando l’importanza del territorio che sta dietro ad ogni vino: “Se Olmi dovesse rigirare ‘L’albero degli zoccoli’ – ha continuato Zaia – sceglierebbe sicuramente questo borgo, quello in cui si è girato il film, Borgo Malanotte, in ristrutturazione dal 1995, in cui sembra che si sia fermato il tempo”.

Girato nel corso del 2013, con un cast che vede la presenza di Sara Ricci, già vista in “Vivere“, Christian Iansante, voce di Bradley Cooper e di Johnny Depp al suo debutto sul grande schermo, del giovane e talentuoso Maximiliano Hernando Bruno, qui anche produttore, del veneziano Andrea Pergolesi, insieme a Claudio De Davide (il patriarca), e a Carla Stella, “Il Leone di vetro” narra una storia che saprà riscoprire il passato, raccontando le radici di questo territorio. Nel cast artistico sono presenti anche Stefano Scandaletti (premio Off) e Diego Pagotto (Faccia D’Angelo), Eleonora Panizzo, Alvaro Gradella.

 

Fonte: visto su IL POPOLO VENETO del 9 aprile 2014

Link: http://ilpopoloveneto.blogspot.it/2014/04/vinitaly-presentato-il-film-il-leone-di.html

 

IL LEONE DI VETRO DAL 13 NOVEMBRE AL CINEMA

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 IL LEONE DI VETRO

 

A partire da Giovedi 13 novembre 2014 esce nel Veneto e in tutte le sale d’Italia

il film del regista napoletano Salvatore Chiosi

 

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BOICOTTATO IL LEONE DI VETRO: IL FILM ACCUSATO DI INDIPENDENTISMO

 

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Salta la proiezione al Melies, caso politico da Vazzola a Conegliano

 

CONEGLIANO. Le major cinematrografiche boicottano “Il leone di vetro”, che è stato girato anche nel Coneglianese. Doveva uscire anche al Melies di Conegliano, ma non verrà proiettato. «Il motivo? Il ricatto delle multinazionali», è questa l’accusa fatta attraverso i social network dalla produzione del film, il caso è diventato anche politico.

«Il cinema Melies di Conegliano», è la comunicazione dello staff del film, «dopo averci richiesto la pellicola e dato l’ok per la proiezione in sala, mandando anche il trailer tra quelli prossimamente in cartellone, a tre giorni dall’uscita fa dietrofront e ci comunica che non proietterà più il film».

Il film storico narra le vicende di due famiglie venete nell’annessione del 1866. Ha visto molti ciak nella Marca, con protagonista lo storico Borgo Malanotte, di Tezze di Piave, e i suoi abitanti che hanno fatto da comparse. Per questo in molti attendevano l’uscita nelle sale. Invece a Conegliano il film è saltato.

L’Associazione Borgo Malanotte ha commentato con un «Senza parole». Si è sollevato anche un polverone politico, con voci di una “censura” per i contenuti vicini all’indipendentismo.

 

 

NAMIBIA 1914: IL GENOCIDIO DIMENTICATO DEL POPOLO HERERO

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di Francesco Lamendola

 

  1. CHE COS’È UN GENOCIDIO.

 

Genocidio è il tentativo di sterminare, con metodi organizzati, in gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso (dal greco génos, stirpe, donde il latino gens: gente, stirpe, razza). Le odierne leggi internazionali lo puniscono quale “crimine contro l’umanità” (accordo di Londra, 8 agosto 1945), sia nel caso venga commesso nel corso delle operazioni belliche, sia che abbia luogo in stato di pace (convenzione dell’Assemblea generale dell’O.N.U. del 9 dicembre 1948).

 

La storia antica è ricca di massacri e deportazioni di interi popoli. Nelle sue memorie sulla guerra di Gallia, ad esempio, Giulio Cesare narra senza batter ciglio come tentò di sterminare il popolo degli Eburoni che si era ribellato ai Romani, tentativo coronato da un notevole successo. (1) Tuttavia è nella storia moderna che noi troviamo gli esempi più massicci e sistematici di genocidio.

È noto che un grandissimo numero di popoli amerindiani venne letteralmente sterminato dai conquistatori europei, tanto nel Nord che nel Sud America. In certi casi, le condizioni di vita imposte dai conquistadores erano così intollerabili che interi gruppi tribali ricorsero al suicidio di massa: tale il caso degli Arawak dell’isola di Hispaniola (Haiti) durante il XVI secolo.

Più recentemente, nella Terra del Fuoco gli allevatori bianchi giunsero a iniettare stricnina nelle pecore di cui si cibavano gli indigeni e a sparare a vista contro qualunque Fuegino, anche pacifico, col risultato che già nel 1925 non si contavano più di 190 individui fra Yaghan e Alakaluf (2), mentre oggi sono del tutto estinti.

Gli abitanti della Tasmania, ai primi dell’800, vennero braccati dagli Inglesi come animali, rastrellati con una gigantesca operazione di polizia da una costa all’altra della grande isola, e deportati in un isolotto dove morirono quasi tutti. L’ultimo tasmaniano morì nel 1876, e il suo corpo, esumato su richiesta della Royal Society, rimase esposto fino al 1976 in una teca del Tasmanian Museum, come un raro pezzo da collezione. (3)

Ma è nel XX secolo che hanno avuto luogo i tentativi più sistematici e sinistramente efficaci di genocidio. Milioni di persone hanno perso la vita nei campi di concentramento hitleriani in Germania e nei Paesi da essa occupati, fra il 1938 e il 1945, e altri milioni nei gulag di Stalin, specie durante la campagna per la collettivizzazione forzata delle campagne, negli anni ’30. Si discute ancora sulle cifre, ma certo si trattò di qualcosa che non si era mai visto prima nella storia dell’umanità, sia per il numero delle vittime che per le modalità “industriali” delle deportazioni e dello sfruttamento della manodopera servile così ottenuta.

 

C’è poi stato il genocidio dei Tutsi da parte degli Hutu in Ruanda, nel 1994, costato un milione di vittime; quello delle popolazioni negre del Sudan meridionale da parte del governo islamico fondamentalista di Khartoum; e le varie “pulizie etniche” (in pratica, dei piccoli genocidio localizzati) in varie parti della ex Jugoslavia, ad opera sia dei Serbi che dei Croati, negli anni fra il 1991 e il 1999, secondo un copione che era già stato attuato negli anni della seconda guerra mondiale, specie per opera degli ustascia  di Ante Pavelic.

Pochi giorni fa (marzo del 2006) ha destato un certo scalpore la notizia della morte in carcere dell’ex presidente serbo Slobodan Milosevic, processato dal tribunale Internazionale dell’Aja per “crimini contro l’umanità” , specie ai danni degli Albanesi del Kossov, quando ancora non era stata emessa la sentenza.  Bisogna però ricordare che il presidente croato Franjo Tudjman ha avuto analoghe responsabilità per quanto riguarda la “pulizia etnica” delle minoranze serbe in Slavonia e in altre zone della Croazia; e che, nella parte musulmana della Bosnia, le atrocità croate non sono state dissimili da quelle compiute dalle bande nazionaliste serbe.

 

Tuttavia una parte considerevole dell’opinione pubblica occidentale ignora ancor oggi che durante la prima guerra mondiale ebbe luogo un altro spietato genocidio: quello degli Armeni.

Se oggi si è in parte sollevata la cortina di silenzio che lo avvolgeva, è solo perché l’Unione  Europea sta negoziando i preliminari per un futuro ingresso della Turchia, nazione che non ha mai riconosciuto la responsabilità storica di tale genocidio (a differenza di quanto fatto dal governo tedesco nei confronti  del popolo ebreo e di Israele, dopo il 1948). Nel 1915-16, infatti, il governo turco di Enver pascià, Talaat e Gemal mise in atto lo sterminio sistematico di qualcosa come 1.500.000 Armeni nell’Anatolia orientale, in Cilicia e in Siria. Un’eco di questa oscura tragedia è stata consacrata alla storia letteraria dal romanzo di Franz Werfel I quaranta giorni del Mussa Dagh. (4)

 

Altre centinaia di migliaia di Armeni vennero trucidati dopo la guerra, quando non esisteva più nemmeno la copertura delle necessità di difesa nazionale, ad opera non del crollato regime dei Giovani Turchi, ma del “padre della patria” Kemal Atatürk, colui che, avendo avviato il processo di occidentalizzazione del suo Paese, è ancor oggi presentato in modo sostanzialmente positivo in quasi tutti i libri di storia occidentali, a partire dai libri di testo scolastici. A Smirne, mentre l’esercito greco era in fuga, migliaia di civili Armeni (e Greci) vennero bruciati vivi, crocifissi, impalati nel 1922.  Scene simili si verificarono in Cilicia subito dopo il precipitoso reimbarco delle truppe francesi, premute dai kemalisti. (5)

 

Forse è perché una parte di quel genocidio avvenne sotto gli auspici di Atatürk e del suo partito nazionalista, che la questione del riconoscimento delle responsabilità sembra essere passata in seconda linea nell’agenda delle trattative per la futura adesione della Turchia all’Unione Europea; ragioni strategiche sembrano prevalere su ogni considerazione morale, poiché Parigi val bene una messa; cioè non pare il caso di guardar troppo per il sottile, quando sono in ballo ragioni di alta politica internazionale.

 

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  1. L’AFRICA IN RIVOLTA.

 

Le prime lotte per la libertà e l’indipendenza dei popoli africani vennero combattute fuori dall’Africa. Gli schiavi deportati nel Nuovo Continente per lavorare nelle piantagioni di cotone e di canna da zucchero diedero vita, nel XVII secolo, a numerosi Stati indipendenti o quilombos, nel Darien, in Brasile e altrove. (6) Celebre fra tutte la cosiddetta Repubblica di Palmares, governata in realtà da Zumbi, un sovrano di notevole statura politica: quando venne distrutta dai bandeirantes paulistas (cacciatori di schiavi della città di San Paolo), nel 1697, essa aveva raggiunto un alto grado di organizzazione sociale e contava una popolazione di circa 20.000 anime. (7) Nell’isola di Haiti,  gli ex schiavi negri raggiunsero definitivamente l’indipendenza al principio del XIX secolo, dopo le audaci campagne che valsero all’eroe nazionale Toussaint Louverture l’appellativo di “Napoleone nero”.

 

L’Africa sub-sahariana non subì l’urto massiccio del colonialismo che verso la fine del XIX secolo. Prima della Conferenza di Berlino (1884-85) erano pochi e piccoli gli insediamenti europei sul continente, ad eccezione dell’Algeria e del Sudafrica. Ma dopo il 1880 si scatenò in tutta la sua violenza la corsa all’accaparramento coloniale. Indeboliti dalla secolare emorragia della tratta, divisi e discordi tra loro, ignari della civiltà europea e delle sue astuzie, i popoli africani dapprima non offrirono quasi resistenza. Innumerevoli trattati di protettorato vennero firmati da capi indigeni, raggirati dall’offerta di doni risibili.

 

Fu solo verso il 1890 che gli Europei vennero a contatto con gli Stati più solidi e agguerriti dell’interno: i Francesi con il sultanato di Rabah nel Ciad, gli Inglesi con il regno mahdista del Sudan, gli Italiani con l’Impero cristiano d’Abissinia. In questa fase, un po’ tutte le colonie vennero altresì scosse da una serie di violente sollevazioni, poiché i popoli africani “sottomessi” cominciavano a reagire alle catastrofiche conseguenze socio-economiche della dominazione europea.

 

La rivolta degli ottentotti Nama e dei bantù Ova Herero nell’Africa Sud-occidentale tedesca rientra in questo complesso movimento storico, del quale presentiamo qui un veloce sommario cronologico.

 

1888-89: rivolta di Abushiri nell’Africa Orientale Tedesca.

 

1889-94: resistenza del re Behanzin ai Francesi nel Dahomey.

 

1890-98: resistenza dei Bunyoro agli Inglesi in Uganda.

 

1891-98: rivolta degli Hehe nell’Africa Orientale Tedesca.

 

1891-1920: guerriglia di Mad Mullah contro Italiani e Inglesi in Somalia.

 

1896:battaglia di Adua; rivolta dei Matabele e dei Mashona contro gli Inglesi in Rhodesia

1897-1900: lotta di Rabah contro i Francesi nel Ciad.

 

1898: distruzione del regno mahdista da parte degli Anglo-Egiziani.

 

1898-1904: ribellioni e guerriglia nel Madagascar contro i Francesi.

 

1900: rivolta degli Ashanti contro gli Inglesi nella Costa d’Oro.

 

1904: rivolta di Anyang contro i Tedeschi nel Camerun.

 

1905, 1908: rivolta dei Gusii contro gli Inglesi nel Kenya.

 

1905-1907: rivolta dei Maji Maji nell’Africa Orientale Tedesca.

 

1906: rivolta degli Zulu contro gli Inglesi nel Natal.

 

1909-1912: campagna francese contro il sultanato dell’Ouaddai.

 

1911-1917: resistenza dei Tutsi e degli Hutu contro Inglesi e Tedeschi nel Ruanda.

 

1913: rivolta contro i Portoghesi in varie zone dell’Angola.

 

1915: ribellione di Chilembwe contro gli Inglesi nel Nyasaland. (8)

 

 

  1. IL COLONIALISMO TEDESCO.

 

 

La Germania del XIX secolo arrivò buon’ultima sulla scena della spartizione coloniale, poiché fin verso il 1880 il cancelliere Bismarck aveva avversato ogni idea di espansione oltremare. Egli considerava sostanzialmente inutile all’economia tedesca e troppo dispendiosa l’acquisizione di colonie, nonché pericolosa per il mantenimento dei buoni rapporti con la Gran Bretagna (tutte previsioni che si sarebbero dimostrate esatte). Ma quando la spartizione dell’Africa era già quasi compiuta, gli ambienti pangermanisti – sostenuti dalla finanza e dalla marina – esercitarono delle pressioni così forti che Bismarck, assecondando i nuovi sentimenti dell’opinione pubblica, gettò frettolosamente la Germania nella corsa all’accaparramento delle ultime colonie, sancita dalla Conferenza di Berlino del 1884-85.

 

In Africa venne dichiarato il protettorato tedesco sull’Africa Sud-occidentale, sul Togo e sul Camerun (1884), indi sull’Africa Orientale tedesca (agosto 1885). Nell’Oceano Pacifico furono occupate la Terra dell’Imperatore Guglielmo (Kaiser Wilhelmsland) nella Nuova Guinea, e l’Arcipelago delle Bismarck (dicembre 1884), poi le Isole Marshall (1884-85); infine  le Marianne, le Caroline e la Palau,  acquistate dalla Spagna dopo l’esito disastroso della guerra ispano-americana, nonché le Samoa occidentali, dopo un trattato di spartizione con gli Stati Uniti d’America (1899). In Estremo Oriente, venne occupato il porto di Kiaochow, strappandolo alla sovranità del governo cinese (1898). (9)

 

Tutte queste operazioni, condotte in fretta e furia nella  scia di missioni religiose tedesche e di preesistenti iniziative di case commerciali (la Woermann di Amburgo era stabilita nel Camerun fin dal 1868; la Missione Renana era presente nel Sud-ovest africano fin dal 1847), furono caratterizzate da un minimo impiego di forze militari e da un’estrema arroganza diplomatica. Vi furono momenti di grave tensione con le altre potenze imperialiste, mentre i popoli indigeni, sul momento, non manifestarono serie reazioni. In particolare, la politica coloniale tedesca giunse a sfidare apertamente la Spagna (1886, azione nelle Marianne), gli Stati Uniti (nel 1902, con la crisi del Venezuela) e la Francia (nel 1905 e nel 1911, con le due crisi marocchine che per poco non affrettarono lo scoppio di un conflitto generalizzato, cui si arriverà nel luglio-agosto 1914, dopo l’eccidio di Sarajevo). (10)

 

Nel governo dei popoli indigeni la Germania, che non disponeva di una tradizione amministrativa coloniale, diede prova di una singolare incomprensione delle realtà locali. I suoi funzionari, ad esempio, ritenevano che ogni tribù dovesse vivere entro confini ben precisi, e non capivano che in Africa la vita sociale è sempre stata caratterizzata, per motivi ambientali ed economici, da una estrema mobilità delle popolazioni. (“In Africa non esistono confini, nemmeno tra la vita e la morte”, scriveva il poeta Leopold Sedar Senghor, portavoce della negritudine). In particolare, nell’Africa Sud-occidentale il tentativo tedesco di avviare una macchina amministrativa efficiente, sul modello europeo, si scontrò con l’esigenza dei popoli allevatori di spostarsi liberamente attraverso la steppa, alla ricerca di nuovi pascoli. Così, verso il 1888, ebbe inizio un periodo di violente insurrezioni indigene, che si protrasse fino alla grande sollevazione degli Herero e dei Nama nel 1904-07.

 

Nel frattempo, l’illusione di Bismarck che le colonie potessero venire amministrate dalle stesse compagnie commerciali era stata smentita, e lo Stato tedesco aveva dovuto assumersi in prima persona il loro governo, con un notevole onere finanziario per il contribuente. L’impero coloniale tedesco, che l’opinione pubblica pangermanista aveva voluto sia per motivi di prestigio, sia come sbocco ai capitali e all’emigrazione dalla madrepatria, si rivelava al contrario un peso morto per le finanze del Reich, e una fonte di sempre nuove spese.

 

Nessun flusso migratorio si indirizzò verso le colonie in sostituzione di quello tradizionale verso il Brasile e verso gli Stati Uniti d’America. Nel 1914 esse ospitavano meno di 25.000 tedeschi, comprese le forze armate (11), su una superficie totale di circa 2,5 milioni di kmq. e una popolazione di 15 milioni di abitanti. (12) Solo nell’Africa Sud-occidentale si stabilì un compatto nucleo di coloni tedeschi (6.000 uomini atti alle armi nel 1914) (13),i cui discendenti costituiscono ancora oggi, accanto a Britannici e Boeri, una delle tre componenti della popolazione bianca, e sono attaccatissimi alle loro antiche tradizioni.

 

 

  1. UNA POLITICA MILITARE INCONTINENTE E IMMORALE.

 

Arrivata ultima sulla scena della spartizione coloniale, la Germania aveva dovuto accontentarsi di quel che era rimasto, ma le sue aspirazioni andavano ben oltre. Specialmente durante la guerra mondiale 1914-1918 la Società Coloniale, lo Stato Maggiore dell’esercito e della marina e gli ambienti dell’alta finanza elaborarono una serie di piani coloniali così smisuratamente ambiziosi, che si decise di non renderli mai di pubblico dominio. In base a questi piani, un enorme territorio dell’Africa centrale, dall’Atlantico all’Oceano Indiano, avrebbe dovuto costituire un Impero tedesco (14), autosufficiente anche sul piano militare. (15)

 

La stessa aggressività sfrenata e incontrollabile dimostrò la Germania nei confronti delle popolazioni indigene sottoposte. Celebre, ad esempio, è rimasto il discorso tenuto dall’imperatore Guglielmo II alle truppe in partenza perla guerra dei Boxers, il 27 luglio 1900, a Bremerhaven: “… non ci sarà clemenza e non verranno fatti prigionieri. Chiunque cade nelle vostre mani, cade sotto la vostra spada! Come mille anni fa gli Unni sotto il loro re Attila si sono fatti un nome che gli uomini ancora rispettano, possa ora per opera vostra il nome di ‘tedesco’ affermarsi per millenni in Cina, tanto che nessun Cinese, con gli occhi a mandorla o no, possa più osare guardare un tedesco in faccia.”(16)

 

Quando ebbe inizio l’ondata delle rivolte dei popoli coloniali, il governo tedesco reagì con una brutalità straordinaria, deciso a infliggere loro una “lezione” memorabile. “L’imperialismo tedesco – ha scritto uno storico sovietico – … soffocava le insurrezioni dei popoli africani con tanta ferocia che la sua giustificazione si riduce al fatto che i suoi avversari, l’Inghilterra e la Francia avevano adottato in casi analoghi gli stessi metodi, cioè il completo sterminio fisico degli insorti. In un quarto di secolo di dominio nelle colonie africane… è riuscito a distruggere una serie di tribù  tra cui, come è noto, la grande tribù degli Herero.”(17)

 

È importante comprendere che non si arrivò al genocidio degli Herero in maniera improvvisa e inaspettata. I rappresentanti del potere coloniale tedesco, ogni qualvolta si trovavano in difficoltà, facevano ricorso al terrore. (18) L’inumano ordine di sterminio emesso nel 1904 non fu che la naturale conclusione di tutto un modo di procedere verso i popoli extraeuropei. Dobbiamo pertanto riconoscere nel genocidio degli Herero il risultato di una politica militare incosciente e immorale, in cui l’autentico spirito militare – come scrisse un autore tedesco in altra circostanza – era stato ormai orribilmente deformato. (19)

 

 

  1. GLI HERERO: CHI ERANO.

 

Il popolo degli Herero, appartenente alla grande famiglia linguistica bantu, giunse nel territorio della odierna Namibia nel XVII secolo, dopo una lunghissima migrazione che ebbe origine, probabilmente, dalla regione dei Grandi Laghi. Nel Sud-ovest africano essi vennero ripetutamente a conflitto con le popolazioni boscimano-ottentotte, e specialmente con il gruppo ottentotto dei Nama, in mezzo alle quali si stabilirono, formando l’isola bantu più meridionale dell’intera regione. Il territorio da essi occupato andava dal massiccio del Kaokoveldt, che si affaccia sulla costa atlantica sino all’altezza di Capo Frio, alla regione ove sorge Windhoek. (20) Verso nord confinavano – e confinano a tutt’oggi – col popolo degli OvAmbo, ad essi apparentato, e stanziatosi a cavallo della frontiera con l’Angola.

 

Gli Herero erano un popolo di allevatori, e  i loro bovini, che avevano anche un valore sacrale, erano celebri in tutta l’Africa meridionale. Altrettanto celebre era la perizia dei pastori herero nel trovare sorgenti d’acqua per i loro armenti, anche in piena steppa semidesertica. I conflitti con i loro vicini, e specialmente con i Nama che abitavano immediatamente più a sud, erano originati appunto dalla necessità di assicurarsi le terre da pascolo dell’altopiano centrale (Damaraland). I Nama lavoravano il ferro e la ceramica, erano cacciatori e soprattutto allevatori di ovini e bovini. Sotto la guida del loro capo Jonker Afrikaaner, essi presero il sopravvento sugli Herero negli anni 1835-1860, li sottomisero e occuparono i pascoli della regione centrali.

 

A complicare le cose, vi fu, a partire dalla metà del XIX secolo, una immigrazione di altre genti ottentotte provenienti dalla Colonia del Capo, le quali volevano sottrarsi alla dominazione europea. Si trattava di gruppi anch’essi interessati all’acquisizione dei pascoli sull’altipiano centrale, che presto si imposero tanto ai Nama che ai Bastardi della regione di Rehoboth (una tribù migrata anch’essa da oltre il fiume Orange, e formata da mulatti ottentotto-asiatici; chiamati, questi ultimi, dalla Compagnia delle Indie Orientali a popolare la Provincia del Capo).

 

Jonker Afrikaaner morì nel 1861 e il nuovo capo dei Nama, Hendrik Witbooi, non riuscì ad impedire che gli Herero cogliessero il momento favorevole per insorgere e liberarsi dalla sudditanza in cui erano caduti. Seguì un periodo di lotte fra i due popoli che durò fino al 1870, e poi ancora dal 1880 al 1892: lotte molto sanguinose poiché erano combattute con armi da fuoco, acquistate dai commercianti bianchi. (21) In questa fase gli Herero avevano trovato un capo prestigioso nella persona di Tjamuha Maharero e poi di suo figlio, Samuel Maharero. Fu allora che si diedero un’organizzazione politica fortemente centralizzata, mentre prima vivevano raggruppati in entità minori.

 

Fino a quel momento, solo un piccolo numero di Europei – missionari e contrabbandieri – si era stabilito nell’Africa sudoccidentale. Nel 1878 gli Inglesi del Capo avevano occupato la Baia della Balena, con la tiepida autorizzazione del governo di Londra. L’insediamento nella baia di Angra Pequeña di un commerciante di Brema, F. A. E. Lüderitz, che l’acquistò da un capo indigeno insieme alla regione circostante (primavera 1883), offrì al cancelliere Bismarck l’occasione di agire. Egli dichiarò, il 24 aprile 1884, che il Governo tedesco assumeva direttamente la protezione delle aziende di Lüderitz, e nell’agosto-settembre, con due successivi proclami, dichiarò il protettorato germanico sull’intera regione posta tra i fiumi Orange, a nord (che segnava il confine con l’Angola portoghese),  e Cunene, a sud (che segnava il confine con la britannica Colonia del Capo).

 

 

  1. LA DOMINAZIONE TEDESCA:

 

La Germania aveva ottenuto il riconoscimento internazionale del suo protettorato, pur non avendo occupato effettivamente il territorio in questione. Tuttavia, la penetrazione tedesca dalla costa verso l’interno progredì rapidamente, grazie anche alla rivalità che divideva le popolazioni indigene, i cui capi vennero indotti a firmare separatamente dei trattati di sottomissione. Per questi avvenimenti noi possediamo non solo la documentazione dei colonialisti bianchi ma anche, caso pressoché unico,  una fonte africana di primissima mano: il diario di Hendrik Witbooi. (22) Poichè a quell’epoca gli Herero si trovavano in difficoltà nella lotta contro i Nama, loro tradizionali avversari, il loro capo accettò senza resistenze il protettorato tedesco, nel 1885. Il loro gruppo, a quel tempo, era composto di circa 85.000 individui (23), mentre una stima del 1966 ne calcolerà non più di 40.000.

 

Subito dopo, ebbe inizio la tragedia. Una schiera di coloni tedeschi si affacciò sull’altopiano centrale ove fu costruita Windhoek, la capitale, a 1.680 metri d’altitudine, in perfetto stile architettonico bavarese. Con l’aiuto del governo coloniale, e nonostante le proteste di alcuni missionari, essi espropriarono a ritmo febbrile sia le terre che le mandrie di bestiame degli Africani. Le basi economiche della società indigena vennero distrutte e agli Herero – come del resto ai Nama – non restò altro da fare che passare al servizio dei proprietari terrieri bianchi, dei commercianti, dell’esercito d’occupazione (come scouts, perché in questa colonia il Reich non si fidava ad arruolarli come truppe di linea), e delle missioni.

 

Una epidemia di peste bovina, scoppiata nel 1897, peggiorò ulteriormente la situazione , falcidiando gli armenti ancora in possesso degli indigeni e riducendo questi ultimi alla disperazione. Né essi potevano ripiegare, come altre volte in passato, sulla tradizionale agricoltura di sussistenza, poiché tutte le terre fertili erano state occupate dai coloni tedeschi. (24) Non rimaneva loro che l’alternativa di soccombere lentamente o ribellarsi finché ne avevano la forza: ed essi scelsero la seconda.

 

La storia dell’Africa Sud-occidentale tedesca è una storia scritta col sangue, intessuta di lotte quasi continue. La brutalità e l’incompetenza dei funzionari governativi erano tali, che praticamente tutte le tribù indigene finirono per sollevarsi. Perfino la tradizionale ostilità fra gli Herero ed i Nama venne meno, e i due popoli furono indotti a coalizzarsi contro l’intollerabile dominazione tedesca.

 

Il segnale della rivolta venne dato dagli ottentotti Nama, il cui capo Witbooi, sconfitto, dovette sottomettersi e si ridusse a collaborare, sia pure per pochi anni, con i Tedeschi. Due anni dopo, nel 1896, insorsero gli Herero; repressi, fu la volta dei Nama e degli Herero coalizzati.

 

Questa prima azione comune dei due popoli venne rapidamente soffocata nel 1900 dai Tedeschi, i quali soltanto in questa colonia si servivano esclusivamente di truppe europee (soprattutto cavalleria e speciali reparti cammellati), segno questo evidente di quanto impopolare fosse il loro governo fra tutti i nativi. (25) Fu quindi la volta dei Bondei (Bondelswart), il cui tentativo insurrezionale venne schiacciato nel 1903-04. Basterebbe questo elenco di insurrezioni contro il regime coloniale, per dimostrare come esso venisse giudicato un pericolo mortale da tutte le popolazioni indigene.

 

L’illusione che la Germania avrebbe saputo “pacificare” il territorio, facendo cessare le lotte tribali e aprendolo ai supposti benefici della “civiltà” (“The white man’s burden”, ossia il fardello dell’uomo bianco, scriveva il poeta inglese Rudyard Kipling), era stata tragicamente smentita dai fatti. Tuttavia le autorità coloniali non seppero far tesoro di queste sanguinose esperienze e proseguirono nella loro opera di sistematica espropriazione delle terre e delle mandrie degli Africani. Gli avvenimenti del 1904, pertanto, non si può dire che giungessero imprevedibili; al contrario, il rifiuto del governo tedesco di prendere in considerazione le cause economiche dello scontento, fu direttamente all’origine del nuovo scoppio di violenza e della conseguente, drammatica repressione.

 

 

  1. LA GRANDE INSURREZIONE DEL 1904.

 

 

Il malcontento e l’esasperazione degli Herero erano giunti al grado più acuto nel corso del 1903. A coronamento di una lunga serie di soprusi e inutili atti di violenza, i Tedeschi avevano abbattuto gli “alberi sacri” del cimitero herero di Okahandja, per costruire al posto di quest’ultimo una fattoria di coloni. Oramai gli Herero, popolo fiero e bellicoso, non aspettavano altro che un’occasione favorevole per insorgere contro gli odiati dominatori. E l’occasione, finalmente, venne.

 

In quell’anno la tribù ottentotta dei Bondei, stanziata nel mezzogiorno della colonia, in prossimità del fiume Orange, si era ribellata violentemente ai Tedeschi. Il governatore Theodor Leutwein – che era un militare, tenente colonnello dell’esercito – avviò prontamente il grosso delle forze di cui disponeva in quella direzione. Le truppe tedesche debellarono nel sangue la resistenza dei Bondei, ma per poter fare ciò commisero l’imprudenza di sguarnire eccessivamente la regione centro-settentrionale. Ai primi del nuovo anno, la loro presenza militare a nord di Windhoek apparve così tenue e indebolita, che gli Herero compresero esser quella un’occasione forse irripetibile per attaccarli.

 

Il 14 gennaio 1904 essi insorsero per la terza volta, con un furore che colse impreparati i loro dominatori. Centoventitrè tedeschi, fra soldati, commercianti e coloni, si lasciarono sorprendere e uccidere dagli indigeni; donne e bambini, però, non vennero toccati.  A Waterberg un intero presidio militare venne annientato. Fatto degno di nota, né i pochi coloni britannici né quelli di origine boera subirono molestie da parte degli insorti: l’odio di questi ultimi era diretto unicamente contro i cittadini del Reich germanico. La linea ferroviaria d’interesse strategico, che le autorità coloniali avevano fatto costruire tra Windhoek e Swakopmund (il porto principale della sezione costiera centrale, poco a nord della Baia della Balena), venne distrutta in parecchi punti. Di conseguenza, le comunicazioni fra la colonia e il mondo esterno vennero temporaneamente interrotte, e per alcuni mesi Samuel Maharero assunse il controllo de facto di vaste regioni centro-settentrionali.

 

In questa prima fase della guerra, l’esercito tedesco presente nella colonia era stato ripetutamente battuto in campo aperto e, infine, praticamente accerchiato dagli insorti a Oviumbo, di dove aveva potuto sganciarsi e battere in ritirata solo con estrema difficoltà. Il governatore Leutwein dovette mettersi completamente sulla difensiva nella zona attorno a Windhoek, limitandosi ad aspettare l’arrivo dei rinforzi dalla madrepatria. Nondimeno egli trascorse delle settimane drammatiche: quasi tutta la regione a nord della capitale era di fatto perduta per i Tedeschi, e i loro coloni – deposta l’usuale arroganza – vivevano nel terrore. Fu solo il volontario ripiegamento degli Herero sul massiccio montuoso del Waterberg (a sud-est dell’area paludosa dell’Etosha Pan) che rimosse la minaccia gravante sulla stessa capitale.

 

Se i Nama di Witbooi avessero colto il momento favorevole per insorgere a loro volta, ai Tedeschi sarebbe stato assestato un colpo decisivo. Ma l’azione fra i due popoli non era stata ben concertata, o forse pesarono negativamente le antiche inimicizie tribali, col loro retaggio di rancori e diffidenze reciproche. Al governo coloniale venne lasciato il tempo di riorganizzarsi, di far affluire rinforzi e, poi, di passare alla controffensiva. Solo quando gli Herero erano già stati decimati, gli Ottentotti presero le armi a loro volta: così i Tedeschi poterono affrontare i due popoli separatamente, e sconfiggerli in maniera definitiva.

 

Nel corso della primavera e dell’estate furono fatte affluire numerose truppe dalla Germania, in vista di una vasta operazione repressiva, per un totale di circa 20.000 uomini, dotati di molta artiglieria da campagna. I rinforzi sbarcarono nella colonia fra l’11 giugno e il 20 luglio. Il comando venne affidato a un militare che di repressioni se ne intendeva, avendo in precedenza schiacciato spietatamente la rivolta degli Hehe nelle regioni centrali del Tanganica (1891-98), e avendo partecipato alla durissima campagna contro i Boxers in Cina, nel 1900. Era  il generale di fanteria Lothar von Trotha, un prussiano dal pugno di ferro, nato a Magdeburgo il 3 luglio 1848 e che aveva, dunque, all’epoca soli cinquantacinque anni, un’età relativamente giovane per un grado così elevato.

 

Particolare significativo, la campagna contro gli Hehe del Tanganica era stata da lui “brillantemente” conclusa con l’invio in Germania della testa mozza del capo africano ribelle, Mkwawa (è vero che una barbarie analoga fu commessa, dopo la battaglia di Omdurman contro i Dervisci del Sudan, dall’inglese lord Kitchener, che aveva spedito a Londra la testa del Mahdi, dopo aver fatto profanare il suo sepolcro, nel 1898). Al fianco di von Trotha troviamo, nell’Africa Sud-occidentale tedesca, un giovane ufficiale trentaquattrenne di belle speranze, Paul von Lettow-Vorbeck, che nel 1906 verrà ferito gravemente a un occhio e rimpatriato in Germania (26), mentre nel 1914-18 sarebbe divenuto famoso per la sua abile difesa dell’Africa Orientale Tedesca contro le truppe dell’Intesa. (27)

 

Il piano di von Trotha consisteva nell’accerchiamento degli Herero, da effettuarsi con gli ottimi squadroni di cavalleria di cui disponeva, al fine di catturare l’intero gruppo. Esso era favorito dalla natura aperta e semidesertica della regione, che non si prestava assolutamente ad operazioni di guerriglia da parte degli insorti; e lo fu ancor di  più dall’incauto concentramento degli Herero vicino ai pozzi del fiume Hamakari, imposto dalla necessità di disporre di acqua fresca per quella massa di persone.

 

Gli indigeni erano appesantiti dalla presenza non solo delle donne e dei bambini, ma anche dalle mandrie di bovini, che costituivano la loro indispensabile fonte di vettovagliamento: e fu allora che i Tedeschi colsero l’opportunità di attaccarli sulle ali (agosto 1904).

 

Si ingaggiò un’aspra battaglia; nonostante l’enorme sproporzione esistente in fatto di armamento, gli Herero riuscirono sostanzialmente a far fallire gli ambiziosi piani dell’avversario e, pur subendo perdite pesantissime, ad aprirsi un varco in direzione est, vanificando la manovra avvolgente. Subito i Tedeschi si lanciarono all’inseguimento (13 agosto), impiegando largamente i fucili a ripetizione “Krupp” e le mitragliatrici “Maxim”.

 

La ritirata degli Herero finì per trasformarsi in un terribile olocausto. Premuti dalla cavalleria tedesca che li braccava senza pietà, esaurite le munizioni, tormentati dalla sete e dal sole implacabile, molti di loro trovarono la morte nel deserto dell’Omaheke, a est delle paludi dell’Etosha (settembre-ottobre).

 

Solo una piccola parte di essi, col loro capo Samuel Maharero, riuscirono a mettersi in salvo, attraversando la frontiera col Bechuanaland britannico (l’odierno Botswana). (28) E lì furono costretti a rimanere per sempre; pur trattandosi del Deserto del Kalahari, ossia di una delle regioni più aride e desolate dell’intero continente: il terrore tedesco era stato tale che essi non tornarono più indietro, e ancor oggi i loro discendenti vivono là rifugiati.

 

 

  1. LA “SOLUZIONE FINALE” DEL PROBLEMA HERERO.

 

 

L’insurrezione degli Herero aveva imposto alti costi alla Germania, sia in termini umani che finanziari, ma soprattutto  aveva nuociuto alla sua reputazione. Il prestigio del militarismo tedesco era stato scosso tanto agli occhi dell’opinione pubblica europea, quanto al cospetto delle altre popolazioni sottoposte al suo dominio coloniale. Per sette mesi gli Herero erano rimasti virtualmente padroni di una vasta sezione della colonia e avevano vanificato i progetti tedeschi di governare sfruttando le rivalità tribali e manovrando come burattini i capi locali. Appiedati e male armati, avevano tenuto testa valorosamente al più agguerrito esercito del mondo, e, sul piano internazionale, si erano accattivati le simpatie della massima potenza coloniale: la Gran Bretagna. (29) In una parola, essi avevano infranto il mito della assoluta superiorità tecnico-militare dei bianchi e, più in particolare, quello della invincibilità dell’esercito tedesco. Tutto questo era stato fatto da una popolazione africana la cui civiltà materiale appariva agli Europei come molto primitiva, anche se perfino Guglielmo II aveva avuto a riconoscere, in altri tempi, che essa pure “aveva in tutto un cuore sensibile ai sentimenti dell’onore.” (30)

 

Era quindi necessario – secondo la logica del colonialismo in generale, e di quello tedesco in particolare – “lavare” l’onta e infliggere agli insorti una lezione draconiana. I Francesi nel Dahomey, dopo la battaglia di Kotonou che aveva posto fine all’indipendenza di quel regno, nel 1892, avevano proceduto alla decapitazione sul campo di tutti i prigionieri. I Belgi, dal canto loro, avevano adottato metodi di coercizione così barbari verso gli indigeni del Congo addetti alle piantagioni europee, da provocare la morte di un numero incalcolabile di persone nello “Stato Libero” di Leopoldo II.  “Se un giovane africano non accontentava i suoi padroni, una mano o un piede, e talvolta tutti e due, gli venivano tagliati… Per dimostrare la loro diligenza in questo campo, i sorveglianti portavano ai loro superiori ceste piene di mani.” (31) La storia coloniale del XIX secolo, specialmente in Africa, è intessuta di simili atrocità; eppure ciò che misero in opera i Tedeschi nell’Africa Sud-occidentale, nel 1904, sorpassa tutti quegli orrori.

 

Qui noi assistiamo veramente, e per la prima volta nella storia moderna, a un sistematico piano di genocidio, lucidamente concepito e freddamente portato avanti sin quasi alla distruzione totale e definitiva di un popolo. E la cosa più grave è che le istruzioni per il genocidio vennero impartite quando già la campagna militare tedesca aveva spezzato la forza degli Herero, e la loro diligente applicazione continuò per mesi e mesi, accanendosi contro poveri gruppi di sbandati, donne e bambini compresi, che non erano certo in grado di costituire una minaccia per nessuno. Non c’era alcuna necessità militare che potesse, sia pur debolmente, giustificare un tale modo di procedere: infatti i capi indigeni avevano già domandato, ma invano, di potersi arrendere e deporre le armi.  I loro parlamentari erano stati presi a fucilate ancor prima della decisiva battaglia del Waterberg. Dopo lo scontro sul fiume Hamakari, i soldati tedeschi ricevettero l’ordine di sparare a vista contro qualunque indigeno, e pertanto non si ebbero più vere e proprie azioni di guerra, ma piuttosto un assassinio sistematico della popolazione.

 

L’ordine di sterminio (Vernichtungsbefehl) venne emesso personalmente dal generale von Trotha, il 2 0ttobre 1914, con lo scopo dichiarato di cancellare ogni segno della presenza herero all’interno della colonia.  Se questo popolo è riuscito a sopravvivere, sia pure decimato, fino ai nostri giorni, è perché alcune migliaia di Herero avevano trovato rifugio – come si disse – nel protettorato britannico del Bechuanaland, ed essi furono ben presto  imitati da tutti i loro compagni rimasti indietro, che furono in grado di farlo. (32)

 

Ecco come suonava il Vernichtungsbefhel diramato dall’alto comando tedesco agli Herero che, dopo la battaglia presso l’Hamakari, si trovavano ancora dentro i confini dell’Africa Sud-occidentale: “All’interno del territorio tedesco si sparerà contro tutti gli uomini della tribù degli Herero, armati o disarmati, con o senza bestiame. Nel territorio non verranno accolti nemmeno donne e bambini: essi verranno ricondotti al loro popolo, o fucilati. Questa è la parola rivolta agli Herero da me, il grande generale del potente imperatore di Germania.” (33)

 

Tale malvagio ordine decretato da von Trotha poteva sembrare che lasciasse un’ultima speranza di salvezza agli indigeni, ma in realtà equivaleva a una sentenza di morte: abbandonare il territorio tedesco significava affrontare una marcia spaventosa attraverso il Deserto del Kalahari, che ben pochi – e tanto meno i più deboli: donne e bambini – avrebbero potuto sopportare. Di fatto, molti furono gli Herero che morirono di sete mentre cercavano di raggiungere una impossibile salvezza al di là della frontiera.

 

 

  1. UN NAZISMO “ANTE LITTERAM”.

 

 

I Tedeschi non arrivarono a un tale passo per caso; il loro non fu un “normale” incidente di percorso coloniale, come accadde ad altre potenze imperialiste (ivi compresa l’Italia, per opera di uomini come Badoglio o Graziani). I semi di una violenza razziale spietata e sistematica sono rintracciabili molto addietro nella loro storia. Già nel XIV secolo le campagne di annientamento condotte contro Prussiani (popolo oggi scomparso), Lituani, Baltici e Polacchi dai Cavalieri Teutonici consentono di classificare questi ultimi- secondo l’espressione di un autore francese contemporaneo -come “le S.S. del Medioevo” (34) Più specificamente, nella cultura tedesca del XIX secolo si trovano fedelmente anticipati tutti i  motivi razzisti  e bellicisti, le cui conseguenze hanno macchiato il nome della Germania nel secolo successivo. Non aveva il filosofo Fichte auspicato l’espulsione degli Ebrei, e scritto che “dare loro dei diritti civili è possibile a una sola condizione: tagliar loro la testa in una sola notte e darne loro un’altra che non contenga una sola idea giudaica”? (35) Ed Hegel, il massimo filosofo dell’Idealismo,  non aveva forse teorizzato l’assoluta eticità” della guerra, e affermato che “L’Africano è un uomo allo stato grezzo”? Che presso gli Africani “i sentimenti etici sono di estrema debolezza, o, per meglio dire, non esistono affatto”; e che “la loro sfrenatezza non è suscettibile di alcuno sviluppo o educazione?” (36)

 

Tuttavia, è nell’età guglielmina (1888-1918) che la società tedesca viene incubando e alimentando i germi di una progressiva intolleranza politica e razziale. Mentre i miti pangermanisti ricevono nuova linfa da storici come Lambrecht, da geografi come Ratzel, da artisti come Wagner, da filosofi come Meinecke (e non, come la vulgata vorrebbe far credere, da Friedrich Nietzsche, che anzi ebbe sempre parole sprezzanti nei confronti del nazionalismo tedesco), al Reichstag è  rappresentato un partito antisemita – si chiama proprio così -, che passa dai 5 modesti seggi del 1890, ai 16 del 1893  ed ai 21 del 1907. (37) A questo clima complessivo di violenza culturale bisogna sommare gli effetti di una educazione militaresca che, troppo spesso, ottunde le coscienze ed impedisce il maturare di un senso di responsabilità individuale.

 

Non è forse vero che si rifugiavano dietro la disciplina militare e un cieco ossequio per l’autorità statale, quei soldati tedeschi che nel 1904 applicarono l’ordine di von Trotha, così come nel 1939-45 quelli che eseguirono le criminali direttive antisemite e antislave? Quelli che in più di mezza Europa, dalle Fosse Ardeatine, a Marzabotto, a Oradour, a Lidice si macchiarono di atrocità contro le popolazioni inermi, nel corso delle repressioni contro le formazioni partigiane?

 

Vi sono, tuttavia, degli storici occidentali i quali hanno tentato in ogni modo di minimizzare i fatti atroci dell’Africa Sud-occidentale. L’inglese D.K. Fieldhouse, ad esempio, ammette che “nocque alla fama della Germania il tentativo di scacciare gli Herero dalle loro terre e di sterminarli”. Però poi subito aggiunge: “Ma bisogna vedere questi orrori nelle giuste proporzioni. La Germania non aveva né esperti amministratori delle colonie né soldati”. E conclude: “La verità è che la Germania come potenza coloniale non fu peggiore delle altre prima del 1914… Il pretesto con cui fu privata delle sue colonie era infondato.” (38)

 

 

Fonte: da ARIANNA EDITRICE del 20 agosto 2007

Link: http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=12965

 

 

 

IL GOVERNO TEDESCO DEVE CHIEDERE SCUSA PER I CRIMINI DELLE TRUPPE TEDESCHE

 

 

Bolzano, Göttingen, 7 gennaio 2004

 

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L’Associazione per i popoli minacciati (APM) ha chiesto al Governo tedesco di pronunciare le proprie scuse per la ricorrenza dei 100 anni del genocidio contro gli Herero in Namibia iniziato dalle truppe imperiali tedesche, le Schutztruppe, nella ex-colonia tedesca nell’Africa del Sud-Ovest. Berlino non può continuare ad utilizzare le richieste di risarcimento degli Herero pendenti negli Stati Uniti, per le quali non si intravede nessuna possibilità di successo, come scuse a basso costo per sottrarsi al riconoscimento di questi crimini; così scrive l’APM in una lettera al Cancelliere Schröder e al Ministro degli Esteri Fischer. Proprio in questo anno del centenario del genocidio, il Governo tedesco potrebbe impegnarsi affinché popolazioni particolarmente svantaggiate come gli Herero, i Nama e i San (Boscimani), possano trarre beneficio dalla riforma agraria in Namibia.

 

In occasione della ricorrenza annuale l’APM ha pubblicato un nuovo rapporto sul genocidio degli Herero e dei Nama. La rivolta degli Herero era scoppiata il 12 gennaio 1904 nell’allora colonia tedesca dell’Africa del Sud-Ovest. La lotta per la sopravvivenza di questi popoli nomadi che si opposero alla privazione dei propri diritti e alla progressiva perdita della propria terra a favore dei coloni tedeschi, diede inizio al primo genocidio commesso dalle truppe tedesche. Circa 65.000 Herero e 10.000 Nama furono vittime del genocidio.

 

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L’APM considera il crimine di genocidio come tale, in quanto le truppe imperiali eseguirono gli ordini di annientamento del proprio Generale luogotenente Lothar von Trotha; dopo aver sedato la rivolta nel sangue spinsero gli Herero nel deserto di Omaheke in totale assenza di acqua, tagliandoli fuori dal mondo. Migliaia di donne, uomini e bambini morirono di sete oppure “vennero risparmiati dalle proprie sofferenze” dai soldati. Dopo che i coloni tedeschi chiesero di sterminare con gli Herero allo stesso modo anche i Nama, anche questi insorsero e rimasero vittime della politica della “terra bruciata” del regime coloniale.

 

Al contrario della Chiesa, che ha dato un importante contributo alla rielaborazione delle proprie responsabilità nella politica coloniale tedesca e nel genocidio, il Governo federale tedesco nonostante i ripetuti appelli anche della nostra organizzazione non ha ancora riconosciuto le proprie responsabilità: tanto più importante sarebbe un tale gesto di riconciliazione per evitare una possibile escalation dei conflitti per la riforma agraria in Namibia, sull’esempio di quanto successo già in Zimbabwe. La Germania è per importanza il secondo paese contributore della Namibia. Ma tra gli Herero e i Nama, che oggi con 122.000 e circa 61.000 persone rappresentano insieme il 10,6% dell’intera popolazione, sono migliaia i senza terra che attendono un sostegno. Per questo sarebbe estremamente importante che proprio Berlino sostenga oltremodo la riforma agraria.

 

 

 

Fonte: visto su http://www.gfbv.it     Associazione Popoli Minacciati del 7 gennaio 2014

Link: http://www.gfbv.it/2c-stampa/04-1/040107it.html

 

 

I PARTIGIANI ALLEATI DEI NAZISTI, UN’ALTRA STORIA ITALIANA RIMOSSA

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E’ da poco uscito il nuovo libro di Roberto Gremmo “I partigiani alleati dei nazisti – Il “Battaglione Davide” dalla Resistenza astigiana alla Risiera di Trieste”.

Dalla sintesi che riportiamo qui sotto, si tratta di uno studio veramente importante che documenta una vicenda finora dimenticata o rimossa: la storia drammatica di centinaia di contadini del Monferrato e delle Langhe che avevano disertato i bandi di Mussolini per diventare poi ‘kapo’ per i nazisti al Lager della Risiera di Trieste al seguito d’uno spericolato avventuriero.

 

Avevano scelto di diventare partigiani ribelli alla “Repubblica Sociale” di Mussolini ma osteggiavano gli Anglo-americani ed erano alleati dei tedeschi.

Subito dopo l’8 settembre centinaia di giovani contadini delle Langhe e del Monferrato rifiutarono di sottomettersi al Duce e si dettero alla macchia, trovando il loro capo nel “Capitano Davide” Enrico Ferrero che organizzò un’agguerrita formazione armata di “Patrioti” e dette filo da torcere ai fascisti dell’Astigiano. Ma la loro esperienza partigiana fu di breve durata perché l’inaffidabile ed imprevedibile “Davide” siglò dopo pochi mesi un accordo ‘collaborazionista’ coi nazisti ed i suoi uomini finirono a Venaria, inquadrati in un reparto autonomo. I giovani del “Battaglione Davide” erano agli ordini diretti delle SS che, dopo un breve periodo d’addestramento, li trasferirono in Friuli a fronteggiare l’avanzata dei partigiani di Tito.

 

Tuttavia, appena giunto nel Goriziano, “Davide” finì al centro d’inestricabili intrighi e si scontrò coi fascisti del luogo, costringendo i suoi protettori con la svastica a toglierlo di mezzo, deportandolo nel lager di Dachau.

I suoi uomini non ebbero miglior destino perché i nazisti li trasformarono nei guardiani del campo di concentramento della Risiera di San Sabba a Trieste. Due di loro vennero assassinati dai nazisti per ‘scarsa disciplina’; solo pochi ‘patrioti’ riuscirono a disertare raggiungendo l’armata jugoslava con la stella rossa ma molti altri furono complici dell’occupazione nazista fino al termine della guerra.

 

Negli ultimi giorni del conflitto, Ferrero, autopromosso “Colonnello”, fu protagonista d’un ultima incredibile epopea in Sud Tirolo ed assieme al nipote di Garibaldi si presentò di nuovo come “Partigiano” finché, tornato in Piemonte, scomparve dalla circolazione in oscure circostanze ed ‘andò in Argentina senza scarpe’. La storia rocambolesca del “Battaglione Davide” rompe gli schemi della storiografia ufficiale perché dimostra che le vittime non erano tutte da una parte sola.

 

SCHEDA LIBRO

 

AUTORE: Roberto Gremmo

 

TITOLO: “I partigiani alleati dei nazisti – Il “Battaglione Davide”
dalla Resistenza astigiana alla Risiera di Trieste”

 

INDICE DEI CAPITOLI
Capitolo 1 – Erano partigiani ostili agli Alleati e nemici dei fascisti ma schierati
coi tedeschi – Capitolo 2 – Sotto il Fascismo Ferrero era finito al confino per
un falso ‘complotto comunista’ – Capitolo 3 – Nel 1943 Ferrero diventò il primo
capo della Resistenza astigiana – Capitolo 4 – I fascisti osteggiavano il
reclutatore di ‘Patrioti’ Ferrero – Capitolo 5 – A Venaria Ferrero creò il
“Battaglione Davide” d’accordo coi tedeschi – Capitolo 6 – Nel Goriziano il
‘Battaglione Davide’ si scagliò contro i fascisti – Capitolo 7 – Gli uomini di
Sarzano diventarono guardie del ‘lager’ nazista alla Risiera di Trieste – Capitolo
8 – I disertori del “Battaglione Davide” raggiunsero i partigiani di Tito – Capitolo
9 – Il “Colonnello” Ferrero ed il nipote di Garibaldi erano fra gli ‘ostaggi
eccellenti’ a Dachau e nel Sud Tirolo – Capitolo 10 – Arrestato dalla “Polizia
Partigiana” di Alessandria e scomparve il “Generale” Ferrero “andò in Argentina
senza scarpe” – Capitolo 11 – Il ritorno del fascista Tamburini, del nipote di
Garibaldi e del figlio del maresciallo Badoglio – Capitolo 12 – La segretaria del
“Capitano Davide” era l’attrice “Luisa Ventura”.

 

192 Pagine – Euro 25

 

 

Fonte: da MIGLIOVERDE

Link: http://www.miglioverde.eu/i-partigiani-alleati-dei-nazisti-unaltra-storia-italiana-rimossa/

 

IL REFERENDUM DEL 1946? MAI TERMINATO: LA REPUBBLICA ITALIANA LEGALMENTE NON ESISTE

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Anche il 2 giugno 2014  si festeggerà la vittoria del “SI'”  a favore della Repubblica contro la Monarchia del referendum del 1946. Peccato che non sia mai avvenuto per certo!

 

Infatti risulta  dalle leggi del tempo che prima di proclamare la vittoria  dovevano ancora votare Istria, Dalmazia e isole adriatiche, territori veneti ancora legalmente italiani, che avrebbero potuto ribaltare il risultato.

 

Non solo i risultati non potevano essere ancora dichiarati come definitivi, ma nella notte dello spoglio 2 milioni di voti pro-repubblica comparvero all’improvviso dopo una strana interruzione per ore nello spoglio.

Ed in effetti  circa 1,5 milioni di schede di voti pro-monarchia sono state rinvenute  a Napoli ufficialmente 50 anni dopo, schede che state fatte distruggere dal governo Dalema del 1998.

 

Occorre ricordare che a Napoli, città sicuramente monarchica,  a seguito del referendum ci furono  scontri pro-monarchia e contro i brogli, perfino con la polizia che mitragliò la folla facendo 9 morti e 150 feriti. Quei 1,5 milioni di voti erano sicuramente monarchici.

 

Insomma il 2 giugno 1946 non ci fu la nascita di una repubblica, ma il colpo di stato della Cassazione (e dei partiti) che dichiarò la vittoria della Repubblica senza il voto  dell’Istria, della Dalmazia e le altre terre previsto per legge.

 

Fu solo l’anno dopo, il 1947, che la sedicente repubblica italiana cedette alla Jugoslavia le terre venete che non avevano mai votato, senza fare alcun referendum per la loro decisione, ma realizzando quanto il COMINTERN dell’Unione Sovietica aveva deciso nel 1933.

 

Nel 2006 ho portate alla luce queste violazioni delle norme di referendum , le prove di questi fatti che dimostrano la illegalità della nascita della repubblica italiana, le trovate nell’articolo sotto .

Buona “scoperta”

 

http://www.palmerini.net/blog/la-repubblica-italiana-legalmente-non-esiste/

 

 

Fonte: visto su PALMERINI.NET del 3 maggio 2014

Link: http://www.palmerini.net/blog/il-referendum-del-1946-mai-terminato/

 

 

 

LA REPUBBLICA ITALIANA LEGALMENTE NON ESISTE

 

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Ho dimostrato la illegalità-nullità del referendum Monarchia-Repubblica del 1946, e sono stato il primo a dimostrare questi fatti storici e giuridici della Repubblica Italiana con documenti giuridici.

Alcuni autori hanno usato questo materiale senza citare la fonte,  in danno del diritto d’autore, e la cosa è dimostrata dal fatto che questo studio è stato  depositato al Tribunale di Venezia in un procedimento del 2006.

 

In un questo sito trovate anche .  le prove documentali di quanto affermato, ma per una trattazione più organica e completa si può acquistare il mio testo “La Repubblica mai nata” (clicca) anche su Amazon.

 

 

Ecco perché la “Repubblica Italiana” LEGALMENTE NON ESISTE**

Loris Palmerini 2006 (C) – citare sempre l’autore – copyright 2006 Loris Palmerini – all rights reserved.

 

Al momento del referendum monarchia / repubblica del 1946 erano legalmente territorio dello Stato Italiano anche le terre di Istria con Capodistria e Pola ecc, la Dalmazia con Spalato e Zara, e le Isole Adriatiche.

 

Queste terre erano “italiane” in base al Trattato di Rapallo del 1920.

http://it.wikipedia.org/wiki/Trattato_di_Rapallo_(1920)

 

 

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Dunque, seppure occupate dai Titini, erano terre che avevano il diritto di poter votare al referendum monarchia / repubblica del 1946, un diritto che avevano i cittadini “italiani” lì residenti : essi avevano il diritto di voto, che però non hanno potuto esercitare in maniera ingiustificata. NON FURONO COSTITUITI I COLLEGI PREVISTI DAL DECRETO.

Purtroppo, non solo gli aventi diritto lì presenti non poterono votare, ma nemmeno quelle centinaia di migliaia di essi che fuggirono al genocidio Titino e vennero in italia.

 

E’ vero, il caos era tanto, c’era una guerra civile, ed infatti perfino Corfù e il Dodecaneso erano terre Italiane in virtù di una pretesa e eredità del Regno d’Italia dalla Repubblica Veneta, cosa per altro mai dimostrata, quindi lasciamo perdere la mancanza di voto in quei territorio e comunque questo rafforzerebbe il mio ragionamento.

 

Torniamo ai territori d’Istria, Dalmazia e isole: essi furono ceduti dalla neonata “repubblica italiana” solo con il Trattato di Parigi del 1947

Questo dimostra che al momento del voto del 1946 essi erano territori “italiani”.

 

Quindi, come può aver ceduto quei territori quella “repubblica” che da essi non era mai stata votata?

 

E sopra tutto, è valido un referendum che riguarda la collettività dove solo una parte del territorio interessato o una parte della collettività vota ?

 

Dunque, chi rappresenta legalmente la Repubblica Italiana ? I territori del 1946 ? Quelli che erano Italiani del 1946 (e che lo erano anche dopo!) ?

 

Purtroppo bisogna ricordare che oltre a quei territori del levante veneto che ho detto, anche Trieste, Bolzano e TUTTO IL FRIULI non poterono votare al referendum.

 

Insomma MILIONI DI AVENTI DIRITTO AL VOTO non poterono votare al Referendum del 1946, pur essendo italiani con diritto di voto, e questo perché chi organizzò il referendum sbagliò oppure stava realizzando un colpo di stato.

 

Infatti è noto che gli italiani di Istria e Dalmazia erano per lo più di orientamento monarchico, e se avessero votato avrebbe certamente vinto la Monarchia.

 

Per altro, il referendum è macchiato da diverse irregolarità, per esempio non si è mai spiegata l’improvvisa comparsa nella notte dello scrutinio di 2 milioni di voti pro repubblica, appunto quello scarto che fece vincere la repubblica per 12.717.923 voti contro 10.719.284 voti per la monarchia .

 

Ma considerando che più di 2 milioni di aventi diritto non poterono votare, lo scarto di 2 milioni dei risultati ufficiali non è sufficiente per dare certezza che il risultato del referendum sarebbe stato lo stesso se essi avessero votato.

 

In pratica il referendum è nullo perché mancarono milioni di voti e dunque manca la legittimità alla repubblica italiana come soggetto derivante dal referendum.

 

Ripeto, i milioni di Istriani, Dalmati e delle isole dell’Adriatico che non votarono, oltre a Bolzano, il Friuli ecc, fanno sì che il risultato del Referendum del 1946 non è detto che esprima la volontà maggioritaria di chi aveva diritto al voto.

 

Io non sono monarchico, ma RISPETTO LA VOLONTA’ POPOLARE e pretendo che uno Stato rispetti la legge.

 

Per tanto devo affermare che il Referendum del 1946 E’ NULLO perché non è stato valevole per esprimere la volontà popolare del popolo italiano.

 

Il RISULTATO REFERENDUM del 1946 è nullo perché:

 

– non è l’espressione certa della maggioranza degli aventi diritto al voto

– probabilmente avrebbe vinto la monarchia, anche se non è certo neppure questo

– le modalità del passaggio di poteri sono oscure e macchiate da minacce alla casa regnante da parte di importanti esponenti politici

 

Di conseguenza, LEGALMENTE LA REPUBBLICA ITALIANA NON ESISTE.

 

A chi parla del “troppo tardi” si deve dire : può essere democratica e legale una repubblica che nasce dalla NEGAZIONE DEL DIRITTO DI VOTO ?

 

La Repubblica Italiana è un FALSO, è illegittima, è giuridicamente INESISTENTE, e i diritti umani pretendono verità e la revisione delle Istituzioni attraverso dei referendum territorio per territorio autogestiti dalla cittadinanza, anche quella di Istria e Dalmazia.

 

Per gli stessi motivi, le cessioni di territorio sottoscritte dai Repubblicani saliti al potere dopo il referendum, e i loro successori, NON SONO VALIDI per difetto di rappresentanza: come può un abusivo senza titolo cedere la proprietà altrui?

 

L’articolo si integra con le prove documentali (clicca)

 

Loris Palmerini

Presidente del Tribunale del Popolo Veneto

 

PS del 16-04-2006

 

Ho già sentito un famoso usurpatore dire che il concetto di sovranità di oggi non è quello del dopoguerra. E perché ? E’ forse cambiato il diritto internazionale ? Ma devo dire che quel poveretto ha già dimostrato in passato di non conoscere le leggi o di essere un delinquente, per poco stava per fare un rovesciamento costituzionale solo pochi anni fa.

 

 

Fonte: da L’opinione di Loris Palmerini, del 16 aprile 2007

Link: http://www.palmerini.net/blog/la-repubblica-italiana-legalmente-non-esiste/

 

 

 

 

LE PROVE CHE IL REFERENDUM DEL 1946 È NULLO

 

 

risultati_regionali_del_referendum_del_2_giugno_1946_1073

 

 

Con i documenti  allegati qui sotto, che sono leggi pubblicate sulle GAZZETTE UFFICIALI, ho dimostrato che  l’Italia non è legalmente una Repubblica.

 

A dimostrarlo ecco un estratto del Decreto Luogotenenziale di indizione del Referendum per la forma di stato (il famoso referendum Monarchia-Repubblica del 1946) , il quale stabiliva le modalità del voto, ma anche dove si votasse. Fra i vari collegi ve ne era uno per la terra di Dalmatia con Zara (la Venezia-Giulia), ma anche l’Istria era compresa fra le terre della “Venezia”. Cliccando sull’immagine si può vedere la scansione ingrandita e verificare i collegi)

 

 

 

 

Circoscrizione-collegi-elettorali-1946.554-

 

Queste zone erano territorio legalmente italiano, ma dato che  erano occupati da Alleati (per Trieste e dintorni) , Titini (che attuavano un genocidio) ecc, si fece un decreto in cui il voto in quei collegi elettorali venne momentaneamente sospesi, MA CON LA CHIARA INDICAZIONE CHE ESSI AVREBBERO VOTATO IN SEGUITO APPENA RISTABILITO L’ORDINE.

( Clicca sull’immagine del decreto per ingrandirla)

 

 

gazzetta_ufficiale_23_3_1946.554

 

 

Fra i territori che non poterono votare contiamo Bolzano, Udine (con Pordenone), la Venezia Giulia con l’Istria, Zara con la Dalmatia.

 

Ma dopo soli 9 mesi la neonata  Repubblica Italiana  cedette temporaneamente l’ Istria e Dalmatia alla Jugoslavia, e non fece mai votare Bolzano, Udine, Pordenone e Trieste. Era certo infatti che essi avrebbero votato per la monarchia ribaltando il risultato.

 

In pratica, dato che MILIONI DI PERSONE AVENTI DIRITTO NON HANNO POTUTO VOTARE, il referendum del 1946 non è valido internazionalmente, e non può essere usato come scusa per conoscere la volontà del popolo. Il referendum del 1946 E’ NULLO giuridicamente.

 

O meglio, non è ancora “terminato” , ma è oggi  impossibile il suo completamento , per cui e’ nullo , ( a meno che Istria e Dalmatia non tornino italiane e votino).

 

Tutto ciò rivoluziona i rapporti giuridici fra l’attuale Stato e i suoi cittadini.

 

Lo Stato “Repubblica Italiana”non rappresenta i cittadini italiani, anche quelli di Istria e Dalmatia, ma in pratica tutta la Venetia .

 

La stessa Costituzione Italiana non vale, in quanto l’assemblea costituente non era completa dei territori veneti, quindi i costituenti non rappresentavano l’intero popolo.

 

Perciò, la Repubblica Italiana NON ESISTE legalmente, è un mero fatto senza legalità, è un potere di fatto, ma i cittadini sono liberi di pensare ad altre forme di stato.  L’unica certezza è che in base ai decreti legge del 1946, la repubblica italiana non è mai nata legalmente.

 

Scriverò sulle conseguenze giuridiche di questo, ma per intanto e’ costituito nel Tribunale del Popolo Veneto la rappresentanza legale del popolo della Venezia Giulia.

 

Loris Palmerini Tribunale del Popolo Veneto

 

PS: vi consiglio di fare una ricerca in internet con repubblica italiana referendum 1946

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: da L’opinione di Loris Palmerini, del 24 maggio 2007

 

Link: http://www.palmerini.net/blog/le-prove-che-il-referendum-del-1946-e-nullo/

 

 

 


GLI STATI UNITI SONO STATI IN GUERRA 222 ANNI SU 239 CHE ESISTONO COME STATO

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bandiera-americana

 

 

di Gianfrasket

 

Siamo un popolo di guerra. Noi amiamo la guerra perché siamo molto bravi a farla. In realtà, è l’unica cosa che possiamo fare in questo cazzo di paese: la guerra.

Abbiamo avuto un sacco di tempo per fare pratica e anche perché è sicuro che non siamo in grado di costruire una lavatrice o una macchina che vale un coniglio da compagnia; per contro, se avete un sacco di abbronzati nel vostro paese, dite loro di stare attenti perché noi verremo a sbattere una bomba sul loro viso… ”

 

(George Carlin)

 

 

Gli Stati Uniti sono stati in guerra il 93% del tempo, dalla loro creazione nel 1776, vale a dire 222 dei 239 anni della loro esistenza

 

Gli anni di pace sono stati solo 21 dal 1776

 

Qui sotto è riportata una cronologia anno per anno delle guerre degli Stati Uniti, che rivela qualcosa di molto interessante: dal 1776 gli Stati Uniti sono stati in guerra il 93% del tempo, vale a dire 222 dei 239 anni della loro esistenza

 

Gli anni di pace sono stati solo 21.

 

Per mettere questo in prospettiva:

 

* Nessun presidente degli Stati Uniti è mai stato un Presidente di pace. Tutti i presidenti degli USA che si sono succeduti sono stati tutti, in un modo o nell’altro, coinvolti almeno in una guerra.

 

* Gli Stati Uniti non hanno mai passato un intero decennio, senza fare una guerra.

 

* L’unica volta che gli Stati Uniti sono rimasti 5 anni senza guerra (1935-1940) è stato durante il periodo isolazionista della Grande Depressione.

 

 

Ecco la cronologia delle guerre in cui gli Stati Uniti sono stati coinvolti (1776-2015)

 

 

1776 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamagua Guerre, Seconda Guerra Cherokee, Pennamite

 

1777 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre, Seconda Guerra Cherokee, Pennamite

 

1778 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre Pennamite

 

1779 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre Pennamite

 

1780 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre Pennamite

 

1781 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre Pennamite

 

1782 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre Pennamite

 

1783 – Guerra d’indipendenza americana, Chickamauga Guerre Pennamite

 

1784 – Chickamauga Guerra Guerre Pennamite, Guerra Oconee

 

1785 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1786 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1787 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1788 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1789 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1790 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1791 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1792 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1793 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1794 – Chickamauga Guerre, Northwest Guerra indiana

 

1795 – Guerra indiana del Nord-Ovest

 

1796 – 1800 – Nessuna guerra

 

1801 – Prima guerra Barbary

 

1802 – Prima guerra Barbary

 

1803 – Prima guerra Barbary

 

1804 – Prima guerra Barbary

 

1805 – Prima guerra Barbary

 

1806 – Sabine Expedition

 

1807 – 1809 – Nessuna guerra

 

1810 – Stati Uniti occupano West Florida spagnola

 

1811 – La guerra di Tecumseh

 

1812 – La guerra di Tecumseh, Guerre Seminole, gli Stati Uniti occupano East Florida spagnola

 

1813 – La guerra di Tecumseh, Guerra Peoria, Creek War, gli Stati Uniti espandono territorio nel West Florida spagnola

 

1814 – Creek War, US espansione territorio in Florida, la guerra anti-pirateria

 

1815 – Guerra del 1812, seconda guerra Barbaresca, guerra anti-pirateria

 

1816 – Prima guerra Seminole, la guerra anti-pirateria

 

1817 – Prima guerra Seminole, la guerra anti-pirateria

 

1818 – Prima guerra Seminole, la guerra anti-pirateria

 

1819 – Yellowstone Expedition, la guerra anti-pirateria

 

1820 – Yellowstone Expedition, la guerra anti-pirateria

 

1821 – la guerra anti-pirateria

 

1822 – la guerra anti-pirateria

 

1823 – la guerra anti-pirateria, Guerra Arikara

 

1824 – la guerra anti-pirateria

 

1825 – Yellowstone Expedition, la guerra anti-pirateria

 

1826 – Nessuna guerra

 

1827 – Guerra Winnebago

 

1828 – 1830 – Nessuna guerra

 

1831 – Sac e Fox guerra indiana

 

1832 – Guerra di Falco Nero

 

1833 – Guerra indiana Cherokee

 

1834 – Guerra indiana Cherokee, Pawnee Campagna territorio indiano

 

1835 – Guerra indiana Cherokee, Guerre Seminole, Seconda Guerra Creek

 

1836 – Guerra indiana Cherokee, Guerre Seminole, Seconda Guerra Creek, Missouri-Iowa Border guerra

 

1837 – Guerra indiana Cherokee, Guerre Seminole, Seconda Guerra Creek, Osage Guerra indiana, Guerra Buckshot

 

1838 – Guerra indiana Cherokee, Guerre Seminole, Guerra Buckshot, Heatherly Guerra indiana

 

1839 – Guerra indiana Cherokee, Guerre Seminole

 

1840 – Guerre Seminole, Forze Navali USA invadono Isole Figi

 

1841 – Guerre Seminole, Forze Navali USA invadono McKean Island, Isole Gilbert, e Samoa

 

1842 – Guerre Seminole

 

1843 – Le forze americane si scontrano con la Cina, le truppe statunitensi invadono costa africana

 

1844 – Guerre indiane Texas-

 

1845 – Guerre indiane Texas-

 

1846 – Guerra messicano-statunitense, guerre Texas-indiane

 

1847 – Guerra messicano-statunitense, guerre Texas-indiane

 

1848 – Guerra messicano-statunitense, guerre Texas-indiane, Guerra Cayuse

 

1849 – Guerre Texas-indiane, Guerra Cayuse, indiano Guerre Southwest, Guerre Navajo

 

1850 – Guerre Texas-indiane, Guerra Cayuse, Southwest guerre indiane, guerre Navajo, Guerra Yuma,

 

1851 – Guerre Texas-indiane, Guerra Cayuse, Southwest guerre indiane, guerre Navajo, Guerre Apache, Guerra Yuma, indiano Guerre Utah, California Guerre indiane

 

1852 – Guerre Texas-indiane, Guerra Cayuse, Southwest guerre indiane, guerre Navajo, Guerra Yuma, indiano Guerre Utah, California Guerre indiane

 

1853 – Guerre Texas-indiane, Guerra Cayuse, Southwest guerre indiane, guerre Navajo, Guerra Yuma, indiano Guerre Utah, Guerra Walker, indiano Guerre California

 

1854 – Guerre Texas-indiane, Guerra Cayuse, Southwest guerre indiane, guerre Navajo, Guerre Apache, California guerre indiane Skirmish entre 1 ° Cavalleria e indiani

 

1855 – Seminole Guerre, guerre Texas-indiane, Guerra Cayuse, Southwest guerre indiane, guerre Navajo, Guerre Apache, California guerre indiane, Guerra Yakima, Winnas Expedition Guerra Klickitat, Puget War Sound, Rogue River guerre, le forze americane invadono Isole Figi e Uruguay

 

1856 – Guerre Seminole, Guerre Texas-indiane, Southwest guerre indiane, Guerre Navajo,

 

1857 – Guerre Seminole, Guerre Texas-indiane, Southwest guerre indiane, Guerre Navajo, Guerra Utah, Conflitto in Nicaragua

 

1858 – Guerre Seminole, Guerre Texas-indiane, Southwest guerre indiane, Guerre Navajo, Guerra Mohave, California guerre indiane, Spokane-Coeur d’Alene Guerra-Paloos, Guerra Utah, le forze americane invadono Isole Fiji e Uruguay

 

Guerre 1859 Texas-indiani, Southwest guerre indiane, Guerre Navajo, California guerre indiane, Pecos Expedition Antelope Hills Expedition, Bear River Expedition, incursione di John Brown, le forze americane lanciano attacchi contro il Paraguay e invadono Messico

 

1860 – Guerre Texas-indiane, Southwest guerre indiane, Guerre Navajo, Guerre Apache, California indiana Guerre Guerra Paiute, Kiowa-Comanche guerra

 

1861 – Guerra civile americana, Guerre Texas-indiane, Southwest guerre indiane, Guerre Navajo, Guerre Apache, California guerre indiane, Campagna Cheyenne

 

1862 – Guerra civile americana, Guerre Texas-indiane, Southwest guerre indiane, Guerre Navajo, Guerre Apache, California guerre indiane Campagna Cheyenne, Guerra Dakota del 1862

 

1863 – Guerra civile americana, Guerre Texas-indiane, Southwest guerre indiane, Guerre Navajo, Guerre Apache, California guerre indiane Campagna Cheyenne, Colorado Guerra, Guerra Goshute

 

1864 – Guerra civile americana, Guerre Texas-indiane, Guerre Navajo, Guerre Apache, California guerre indiane Campagna Cheyenne, Colorado Guerra, Guerra Snake

 

1865 – Guerra civile americana, Guerre Texas-indiane, Guerre Navajo, Guerre Apache, California guerre indiane, Guerra Colorado, Guerra Snake, Black War Hawk Utah

 

1866 – Guerre Texas-indiane, Guerre Navajo, Guerre Apache, California guerre indiane Skirmish entre 1 ° Cavalleria e indiani, Guerra Snake, Guerra Black Hawk di Utah, Guerra di Nuvola Rossa, Franklin County War, ci invade Messico conflitto con la Cina

 

1867 – Texas-Guerre Indiane, lunga passeggiata dei Navajo, Apache Guerra Skirmish , Guerra Snake, guerra Black Hawk di Utah, guerra di Nuvola Rossa, guerra Comanche , Franklin County War, le truppe statunitensi occupano il Nicaragua e attaccano Taiwan

 

1868 – Texas-Guerre Indiane, Long Walk dei Navajo, Apache Guerra Skirmish, Guerra Snake, guerra Black Hawk di Utah, guerra di Nuvola Rossa, guerra Comanche, Battaglia del Washita, Franklin County War

 

1869 – Guerre Texas-indiane, Guerre Apache, guerra Black Hawk di Utah, guerra Comanche , Franklin County War

 

1870 – Guerre Texas-indiane, Guerre Apache, guerra Black Hawk di Utah, Comanche Guerre, Franklin County War

 

1871 – Guerre Texas-indiane, Guerre Apache, guerra Black Hawk di Utah, Comanche Guerre, Franklin County War, Kingsley Cave strage, le forze americane invadono la Corea

 

1872 – Guerre Texas-indiane, Apache Wars, La guerra di Utah Black Hawk, Comanche Guerre Guerra Modoc, Franklin County War

 

1873 – Guerre Texas-indiane, Comanche Guerre Guerra Modoc, Guerre Apache, Cypress Hills Massacre, guerra col Messico

 

1874 – Guerre Texas-indiane, Guerre Guerra Comanche Red River, Mason County Guerra, le forze americane invadono Messico

 

1875 – Conflitto in Messico, Guerre Texas-indiane, Comanche Guerre, Nevada orientale, Mason County War, Colfax County War, le forze americane invadono Messico

 

1876 – Guerre indiane, Texas-nero Guerra Hills, Mason County Guerra, le forze americane invadono Messico

 

1877 – Guerre Texas-indiane, Nero Guerra Hills, Nez Perce Guerra, Guerra Mason County, Lincoln County War, San Elizario Salt guerra, le forze americane invadono Messico

 

1878 – Paiute conflitto indiano, Guerra Bannock, Guerra Cheyenne, Lincoln County War, le forze americane invadono Messico

 

1879 – Guerra Cheyenne, Sheepeater Guerra indiana, Bianco Guerra Fiume, le forze americane invadono Messico

 

1880 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1881 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1882 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1883 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1884 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1885 – Guerre Apache, Orientale Nevada Expedition, Forze invadono Messico

 

1886 – Guerre Apache, Pleasant Valley Guerra, le forze americane invadono Messico

 

1887 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1888 – US dimostrazione di forza contro Haiti, Forze invadono Messico

 

1889 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1890 – Sioux Guerra indiana, Ghost Dance Guerra, Wounded Knee, Forze invadono Messico

 

1891 – Sioux Guerra indiana, Ghost Dance Guerra, le forze americane invadono Messico

 

1892 – Johnson County War, le forze americane invadono Messico

 

1893 – Stati Uniti invadono Messico e Hawaii

 

1894 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1895 – Le forze americane invadono Messico

 

1896 – Forze statunitensi invadono Messico

 

1897 – Nessuna guerra

 

1898 – Guerra ispano-americana, Battaglia di Leech Lake Chippewa

 

1899 – Guerra filippino-americana, guerra delle banane

 

1900 – Guerra filippino-americana

 

1901 – Guerra filippino-americana

 

1902 – 1912 – Guerra filippino-americana, guerra delle banane

 

1913 – Guerra filippino-americana, guerra della banane, guerra Navajo

 

1914 – Guerra delle banane, Stati Uniti invadono Messico

 

1915 – Guerra delle banane, invasione del Messico Messico, guerra Paiute

 

1916 – Guerra delle banane, Stati Uniti invadno Messico

 

1917 – Guerre delle banane, prima guerra mondiale

 

1918 – Guerre della banana, la prima guerra mondiale

 

1919 – Guerra delle banane, Stati Uniti invadono il Messico

 

1920 – 1934 – Guerre delle banane

 

1935 – 1940 – Nessuna guerra

 

1941 – 1945 – Seconda guerra mondiale

 

1946 – USA occupano Filippine e Corea del Sud

 

1947 – le forze di terra americana in Grecia nella guerra civile

 

1948 – 1949 – Nessuna guerra

 

1950 – 1953 – Guerra di Corea

 

1954 – Guerra in Guatemala

 

1955 – 1958 – guerra del Vietnam

 

1959 – guerra del Vietnam: Conflitto in Haiti

 

1960 – guerra del Vietnam

 

1961 – 1964 – guerra del Vietnam

 

1965 – Guerra del Vietnam, occupazione americana della Repubblica Dominicana

 

1966 – Guerra del Vietnam, l’occupazione americana della Repubblica Dominicana

 

1967 – 1975 guerra del Vietnam

 

1976 – 1978 – nessuna guerra

 

1979 – Guerra Fredda (guerra per procura CIA in Afghanistan)

 

1980 – Guerra Fredda (guerra per procura CIA in Afghanistan)

 

1981 – Guerra Fredda (guerra per procura CIA in Afghanistan e Nicaragua), primo incidente del Golfo della Sirte

 

1982 – Guerra Fredda (guerra per procura CIA in Afghanistan e Nicaragua), Conflitto in Libano

 

1983 – Guerra Fredda (invasione di Grenada, guerra per procura CIA in Afghanistan e Nicaragua), Conflitto in Libano

 

1984 – Guerra Fredda (guerra per procura CIA in Afghanistan e Nicaragua), Conflitto in Golfo Persico

 

1985 – Guerra Fredda (guerra per procura CIA in Afghanistan e Nicaragua)

 

1986 – Guerra Fredda (guerra per procura CIA in Afghanistan e Nicaragua)

 

1987 – Conflitto in Golfo Persico

 

1988 – Conflitto in Golfo Persico, l’occupazione americana di Panama

 

1989 – Seconda Golfo della Sirte incidente, l’occupazione americana di Panama conflitto nelle Filippine

 

1990 – Prima guerra del Golfo, occupazione americana di Panama

 

1991 – Prima guerra del Golfo

 

1992 – Conflitto in Iraq

 

1993 – Conflitto in Iraq

 

1994 – Conflitto in Iraq, Stati Uniti invadono Haiti

 

1995 – Conflitto in Iraq, Haiti, bombardamenti NATO della Bosnia-Erzegovina

 

1996 – Conflitto in Iraq

 

1997 – Nessuna guerra

 

1998 – Bombardamento di Iraq, Afghanistan e missili contro il Sudan

 

1999 – Guerra del Kosovo

 

2000 – nessuna guerra

 

2001 – Guerra in Afghanistan

 

2002 – Guerra in Afghanistan e Yemen

 

2003 – Guerra in Afghanistan e in Iraq

 

2004 – 2006 – Guerra in Afghanistan, Iraq, Pakistan e Yemen

 

2007 – Guerra in Afghanistan, Iraq, Pakistan, Somalia e Yemen

 

2008 – 2010 – Guerra in Afghanistan, Iraq, Pakistan e Yemen

 

2011 – Guerra al Terrore in Afghanistan, Iraq, Pakistan, Somalia e Yemen; Conflitto in Libia (libica guerra civile)

 

2011 – 2015 – Guerra in Afghanistan, Iraq. Guerra civile in Ucraina e Siria

 

 

Nella maggior parte di queste guerre, gli Stati Uniti erano all’offensiva, in alcune sulla difensiva ma abbiamo tralasciato tutte le operazioni segrete della CIA con rivolte, ribaltamento di regimi e altri atti che potrebbero essere considerati atti di guerra.

 

Il 95% delle operazioni militari lanciate dalla fine della seconda guerra mondiale, sono state degli Stati Uniti, la cui spesa militare è maggiore di quella di tutte le altre nazioni del mondo messe insieme. Nessuna meraviglia quindi che il mondo pensi che gli Stati Uniti sono la prima minaccia del mondo per la pace.

 

Eppure ci sono ancora alcuni nord americani (più di quello che sembra) che fanno ancora la domanda:Perché tutte queste persone nel mondo ci odiano?”

E la risposta della propaganda USA è sempre, invariabilmente, la stessa “…perché sono gelosi di noi, della nostra libertà, della nostra grandezza. Gelosi della nostra cultura…”

 

Ecco, soprattutto della loro cultura e del loro squisito modo di rapportarsi col prossimo.

 

 

 

Fonte: visto su INFORMARE, i Il Blog di Gianni Fraschetti del 26 febbraio 2015

Link: http://informare.over-blog.it/2015/02/gli-stati-uniti-sono-stati-in-guerra-222-anni-su-239-che-esistono-come-stato.html

 

LA MASSONERIA, IL COMUNISMO E LA CORRUZIONE DELLA GIOVENTÙ

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«La musica è il principale interesse della gioventù moderna. Non ha alcuna importanza se gli anziani non lascoltano, poiché essi sono finiti in ogni modo».

l’ex beatle George Harrison (1943-2001)

 

«Abbiamo associato giovinezza, musica, sesso, droga e rivoluzione con tradimento: è molto difficile andare oltre».

 

Jerry Rubin (1938-1994), attivista politico comunista americano

«Corromperemo così tanto lOccidente che puzzerà».

 

Willy Münzenberg (1889-1940), teorico della Scuola di Francoforte

Distruggere il cattolicesimo

 

 

Quali fini si prefigge la setta massonica? Secondo tutti gli studiosi più accreditati di questa piovra sotterranea e per ammissione di numerosi suoi adepti, si tratta in sintesi dei fini perseguiti da tutte le altre Società Segrete e dagli altri movimenti che gravitano intorno ad essa, ovvero l’edificazione del «Tempio di Salomone», la realizzazione della «Grande Opera», che altro non è che la creazione di una «nuova natura umana» 1 e l’instaurazione di un Nuovo Ordine Mondiale (quello che i mondialisti chiamano One World) sotto l’egida della setta.

 

Ma la creazione di una nuova natura umana e di un Mondo Nuovo passa inevitabilmente attraverso quella serie di operazioni che risponde alla prima fase del famoso motto programmatico solve et coagula («dissolvi e ricomponi»), ossia attraverso la rimozione forzata di tutti quegli ostacoli sociali, politici e soprattutto religiosi che, per la loro stessa natura, impediscono la realizzazione di questo disegno 2.

Il principale intralcio che ostruisce il cammino verso la nuova umanità è la Chiesa di Roma, colpevole, secondo i massoni, di imporre all’umanità una morale avvilente 3 e una dottrina superstiziosa che offende la ragione umana impedendo agli individui di prendere coscienza della propria insigne dignità.

 

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Papa Leone XIII

 

Ecco come descrive questa ostilità con vibranti parole Papa Leone XIII (1810-1903):

«Il principale ed ultimo dei suoi fini (della Massoneria; N.d.R.) è distruggere dalle fondamenta tutto lordine religioso nato dall’istituzione cristiana e creare un nuovo ordine a suo arbitrio che tragga fondamenti e norme dal materialismo» 4.

Si tratta di una guerra plurisecolare tra due mondi contrapposti – o, come l’ha definita il canonico francese Mons. Henri Delassus (1836-1921), dell’«antagonismo tra due civiltà» 5 – fra due modi inconciliabili fra loro di concepire l’essere umano nella sua totalità, così descritta dal massone Lafargue al Congresso massonico di Liegi del 1865:

«Sono quattrocento anni (ossia dall’umanesimo rinascimento; N.d.R.) che noi scalziamo il cattolicesimo, la macchina più forte che sia stata inventata in fatto di spiritualismo. Essa è ancora solida, disgraziatamente» 6.

 

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Madame Helena Petrovna Blavatsky 

 

«Nostro scopo – affermò a sua volta la teosofa Madame Helena Petrovna Blavatsky (1831-1891) – non è di restaurare l’induismo, ma di cancellare il cristianesimo dalla faccia della Terra» 7.

 

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Annie Besant.

 

A queste parole chiare fanno eco quelle di un’altra teosofa, Annie Besant (1847-1933), che nel suo discorso di chiusura al Congresso dei Liberi Pensatori, tenutosi a Bruxelles nel 1880, dichiarò: «Innanzitutto combattere Roma e i suoi preti, lottare ovunque contro il cristianesimo e scacciare Dio dai cieli» 8.

 

Se dunque l’intollerante Chiesa romana, con la sua enorme sfera d’influenza, mantiene da due millenni l’uomo in uno stato di totale ignoranza negandogli la felicità a cui ha pieno diritto, va da sè che il compito primario dei massoni sarà quello di sottrarre le masse a detta influenza, e soprattutto i giovani, non ancora totalmente imbevuti di cristianesimo come gli anziani, facendo leva sia sulla loro indole ribelle, che sulla loro maggiore sensibilità a rivendicazioni di carattere libertario. Non a torto, quindi, l’occultista John Symonds (1914-2006) definisce il maestro Aleister Crowley (1875-1947) «l’eroe non celebrato degli hippies» che con il suo Do What Thou WiltFà ciò che vuoi») – parente stretto del Do It («Fallo») di Jerry Rubin – richiama gli stessi stati d’animo su cui si fonda la ribellione a base di spinelli dei figli dei fiori 9.

 

 

«FATE DEI CUORI VIZIOSI»!

 

 

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Massoni

 

Ma per distogliere i giovani dalla visione cristiana della vita e renderli sempre più docili e arrendevoli al nuovo «vangelo» proveniente da quei «laboratori di idee» che sono le Logge massoniche e i circoli iniziatici, è stato prima necessario allontanarli dalla morale cattolica con un lento processo a tappe di cui si conservano ancora alcuni documenti, sulla cui autenticità non è lecito dubitare.

Il primo di essi, estratto da un carteggio massonico finito nelle mani di Papa Pio IX (1792-1878), e reso pubblico per sua volontà. Si tratta di una lettera inviata dal carbonaro Nubius al Fratello tripuntato Volpe il lontano 3 aprile 1824, in cui si dice:

«Il cattolicesimo, meno ancora della monarchia, non teme la punta di uno pugnale ben affilato; ma queste due basi dell’ordine sociale possono cadere sotto il peso della corruzione. Non stanchiamoci dunque mai di corrompere. Tertulliano diceva con ragione che il sangue dei martiri è il seme dei cristiani. Ora, è deciso nei nostri consigli, che noi non vogliamo più cristiani; non facciamo dunque dei martiri, ma rendiamo popolare il vizio nelle moltitudini. Occorre che lo respirino con i cinque sensi, che lo bevano, che ne siano sature. Fate dei cuori viziosi e voi non avrete più cattolici […].

Ma perché sia profonda, tenace e generale, la corruzione delle idee deve cominciare fin dalla fanciullezza, nell’educazione. Schiacciate il nemico, qualunque esso sia, dicevano le istruzioni, ma soprattutto, schiacciatelo quando è ancora nelluovo. Alla gioventù infatti bisogna mirare: bisogna sedurre i giovani, attirarli, senza che se accorgano. Andate alla gioventù e, se è possibile, fin dall’infanzia» 10.

 

Il secondo documento è stato pubblicato nel 1944 dalla Rivista Diocesana di Milano, diretta dal Cardinale Ildefonso Schuster o.s.b. (1880-1954), Arcivescovo di quella città. Si tratta di una deliberazione presa durante un Congresso massonico tenutosi in Svizzera nel 1928 (ossia ben centoquattro anni dopo il primo documento, di cui tra l’altro conserva intatto lo stile), nel quale si auspicava l’introduzione di una moda sempre più audace tra la gioventù:

«La religione non teme la punta del pugnale, ma può cadere sotto il peso della corruzione. Non stanchiamoci, dunque, mai di corrompere, magari servendoci del pretesto dell’igiene, dello sport, della stagione, ecc… Per corrompere bisogna che i nostri figli realizzino lidea del nudo. Per evitare ogni opposizione, bisognerà progredire metodicamente: prima mezze braccia nude, poi mezze gambe; poi le braccia e le gambe tutte scoperte; quindi le parti superiori del torace, del dorso, ecc…» 11.

 

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Il terzo documento, molto più vicino a noi nel tempo, ma immutato nel contenuto rispetto ai primi due, è stato oggetto di un articolo di Mons. W. McGrath per la rivista Scarboro Mission di Toronto, pubblicato nel marzo del 1956:

«Nel dicembre 1952, in una cittadina del Nuovo Messico (U.S.A.), la Massoneria organizzò un convegno di persone influenti degli Stati Uniti. Uno dei convenuti, cattolico, fu colpito da malore mortale, e tramite un amico fece chiamare segretamente un sacerdote. Sentendosi vicino al giudizio di Dio, dopo avere ricevuto i Sacramenti, confidò al sacerdote: “Se io avessi la speranza di sopravvivere, lei adesso non sentirebbe ciò che le voglio rivelare. Sì… ora io voglio che lei avverta il popolo degli Stati Uniti, appena può, di questo vasto piano che abbiamo progettato per il 1953: un piano di degradazione morale della gioventù dAmerica per scristianizzarla. Abbiamo già cominciato a realizzarlo e lo perfezioneremo con i seguenti mezzi: il cinema, le pubblicazioni porno a buon prezzo, i libri comici con storie di sesso e di violenza; ultimo mezzo, ma non il più piccolo, la televisione… non osiamo andare troppo lontano con la televisione, per il momento. Ma essa ci riserva un uditorio immenso, e sarà il mezzo migliore per accostare i bambini. Il nostro piano è di incoraggiare dapprima delle rappresentazioni amorali, se non subito immorali; così, graduando progressivamente la malvagità, tutta calcolata, si avrà il possesso di tutta la gioventù. Sarà tenuta occupata tutto il giorno, senza lasciare spazio per la religione. Così, i giovani al loro risveglio e al loro coricarsi a sera avranno la testa piena di cowboys, di omicidi, di terrore, e di cartoni animati inoffensivi. Tutto questo per allontanare dal loro animo immagini religiose. In questo modo, i bambini saranno disorientati per anni. Poi, quasi occasionalmente, si introdurranno costumi sfrontati e scene licenziose allo scopo di distruggere il senso del pudore“» 12.

 

Seppur distanti nel tempo e nello spazio, questi tre documenti, a dir poco profetici, visto il raggiungimento quasi completo degli obiettivi, mostrano l’esistenza di un’unica direttiva perseguita infaticabilmente fino ai nostri giorni: pervertire la classe giovanile con tutti i mezzi possibili per allontanarla dall’idea stessa di cristianesimo e introdurla in quel nuovo paradiso terrestre preparatoci dai massoni (e dai comunisti).

 

 

DIRETTIVE MARXISTE

 

 

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Le istruzioni che seguono sono state diramate negli anni Settanta, quando metà dell’umanità gemeva sotto il giogo comunista e l’Unione Sovietica mirava ad espandere la sua influenza culturale e politica sulle masse dell’Occidente. Oggi l’impero comunista non esiste più, ma in oltre settant’anni il veleno dell’ideologia è penetrato in profondità nel tessuto sociale e particolarmente nella cultura giovanile, perennemente alla ricerca di chimere libertarie. Il tono e gli obiettivi sono gli stessi della Massoneria, la quale si è servita del comunismo (una creatura del capitalismo selvaggio) per corrompere la classe meno agiata.

Ecco un diktat estratto dal Manuale per i comunisti della Florida:

«Corrompete la gioventù, alienatela dalla religione, fissate la loro attenzione sul sesso, lasciateli diventare superficiali, distruggete il loro idealismo, provocate con ogni mezzo il crollo delle virtù morali, dell’onestà, della purezza» 13.

 

Dalla Parola d’ordine del Partito Comunista Italiano:

 

«Il nostro compito è di promuovere l’ondata della pornografia e di presentarla con simpatia come il fine supremo della libertà artistica».

 

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Lenin

 

La parola al leader sovietico Lenin (1870-1924):

 

«Se vogliamo distruggere una nazione, dobbiamo prima distruggere la sua morale; poi ci cadrà in grembo come un frutto maturo. Svegliate linteresse della gioventù per il sesso e sarà vostra».

 

Dalle Direttive date ai comunisti degli Stati Uniti:

 

«Abrogare tutte le leggi contro loscenità. Distruggere il senso morale diffondendo la pornografia nei libri, nei periodici, nei film alla radio e in televisione. Presentare le degenerazioni sessuali come normali, naturali, favorevoli all’equilibrio psichico e igienico. Distruggere la famiglia, favorendo le unioni libere e il divorzio».

 

Ecco un estratto dal libro Asiatici (1925), del romanziere Artur Landsberger (1876-1933):

 

«Un Paese non è altro che un corpo gigantesco: chi regola le sue funzioni genitali, influenza tutto il corpo e lo riduce in suo potere. Si prende un Paese attraverso il suo istinto più sviluppato, allora, quella generazione, senza più ritegno, perderà le sue forze e sarà in preda a un’ebbrezza di cui noi potremo regolarne la durata. Creando sempre nuovi stimoli, sapremo rendere permanete quell’ebbrezza e fare del Paese unisola di ossessi».

 

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Michail Bakuni

 

Ecco il pensiero di Michail Bakunin (1814-1876), rivoluzionario russo e iniziatore del movimento anarchico internazionale:

 

«In questa rivoluzione dovremo risvegliare il diavolo nel popolo e in lui le passioni più vili».

 

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Jean Cau

 

Jean Cau (1925-1933), scrittore e giornalista francese:

 

«Quando l’uomo sarà divenuto un essere che striscia, che grugna e salta sulla femmina, e voi continuerete soltanto ad accarezzare il suo sesso e a scatenare la bestia che è in lui, allora il porcile diventerà un macello. La carne che offrite nelle vostre riviste illustrate è buona tutt’al più ad essere venduta, schernita, torturata, uccisa e bruciata».

 

Direttiva massonica:

 

«La prima conquista da fare è la conquista della donna. La donna deve esser liberata dalle catene della Chiesa e dalla legge […].

Per abbattere il cattolicesimo, bisogna cominciare col sopprimere la dignità della donna, la dobbiamo corrompere assieme alla Chiesa. Diffondiamo la pratica del nudo: prima le braccia, poi le gambe, poi tutto il resto. Alla fine, la gente andrà in giro nuda, o quasi, senza più batter ciglio. E, tolto il pudore, si spegnerà il senso del sacro, s’indebolirà la morale e morirà per asfissia la fede».

 

 

LA SCUOLA DI FRANCOFORTE

 

 

Nel 1923, su ordine di Lenin, venne fondato a Francoforte un Istituto per il Marxismo.

 

Prima idea-chiave:

«”Una strategia che potrebbe provocare una simile disintegrazione, una tale corruzione, una tale erosione dell’Occidente, ovvero la “rivoluzione culturale“, potrebbe essere l’unica in grado di creare le condizioni preliminari della rivoluzione comunista […].

L’ostacolo, è la civiltà occidentale stessa e la cultura che genera […].

La civiltà occidentale ha molte roccaforti che costituiscono altrettanti ostacoli: la morale che proviene dalla religione, la famiglia, l’attenzione rivolta al passato come guida per l’avvenire, la padronanza sugli istinti primari dell’uomo, e un’organizzazione sociale e politica che garantisce la libertà senza invitare alla licenza. E, di tutti questi ostacoli, i due più grandi sono Dio immanente, sempre presente, e la famiglia”. Era il messaggio di Marx nel 1843, scritto prima che si lanciasse in una teoria economica pseudo-scientifica. A quel tempo, egli invitava ad una critica spietata di tutto ciò che esiste, ma in modo speciale della religione, della scienza e della famiglia […].

Quando l’uomo occidentale sarà “liberato” dalla sua umanità, e immergerà le sue radici nel fango, la nuova società politica potrà sorgere» […].

Dobbiamo organizzare gli intellettuali e utilizzarli per corrompere lOccidente. Quando avranno corrotto tutti i suoi valori, solo allora potremo imporre la dittatura del proletariato» .

 

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Sigmund Freud

 

Seconda idea-chiave: sfruttare in un’ottica marxista le idee di Sigmund Freud (1856-1939).

«Lo svilimento della concezione degli istinti sessuali dell’uomo è stato iniziato da Freud […]. Il sesso, il campo più esplosivo della psiche umana, dev’essere scatenato. Un’amalgama di neo-freudismo e di neo-marxismo dovrà distruggere le difese del fragile sistema immunitario della civiltà occidentale» 14.

 

Un mezzo per scatenare i sensi? La musica!

 

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Hippies

 

«All’Università di Princeton, un membro della scuola, Paul Lazarsfeld, condusse il “Progetto di Studi sulla Radio”, una ricerca innovativa nel campo delle scienze sociali, finanziata dalla Fondazione Rockefeller e dall’Esercito americano. Théodor Adorno, uno dei leader della Scuola di Francoforte, ottenne la cattedra del Dipartimento di Studi Musicali sotto la direzione di Lazarsfeld, dove scrisse, durante gli anni ‘30 e ‘40, sull’interesse che presenterebbe la diffusione massiccia di musiche atonali e di altre forme di musiche per distruggere la società. In un’opera storica, “Philosophy of Modern Music” (“La filosofia della musica moderna”), Adorno raccomandò l’utilizzo su grande scala di forme musicali degenerate per sviluppare certe malattie mentali, ivi compresa la necrofilia. Egli scrisse altrove che era possibile abbattere gli Stati Uniti utilizzando la radio e la televisione per sviluppare una cultura basata sul pessimismo, sulla disperazione e sullodio di sè» 15.

 

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Théodor Adorno

 

Già nel 1939, il filosofo, sociologo e musicologo tedesco Théodor Adorno (1903-1969), il pifferaio magico della contestazione sessantottina, scriveva:

«In uno spazio immaginario ma psicologicamente carico di emozioni, l’ascoltatore che ripensa ad una canzone di successo si immedesimerà nel soggetto ideale della canzone, nella persona a cui, idealmente, la canzone si rivolge. Allo stesso tempo, essendo uno dei tanti che si immedesimano in quel soggetto fittizio, quell’Io musicale, l’ascoltatore, sentirà un sollievo nel suo isolamento per ché si sentirà integrato nella comunità dei fans. Fischiettando tale canzone si piega un rituale di socializzazione, nonostante che, una volta passato questo momento di commozione soggettiva non articolata, il suo isolamento continui immutato […]. Il paragone con il drogato è inevitabile. La condotta di un drogato ha di solito anche una componente sociale: essa è una possibile forma di reazione all’atomizzazione che, come hanno notato i sociologi, procede parallelamente alla compressione dei contatti sociali. Drogarsi con la musica, per un certo numero di ascoltatori, sarebbe un fenomeno simile» 16.

 

Concludono gli autori del libro Droga S.p.A.:

«Lo scopo dichiarato, come affermò Adorno stesso, era la creazione di una cultura musicale di massa che avrebbe sistematicamente degradato i suoi fruitori. La musica punk rock è il risultato finale del lavoro di Adorno» 17.

 

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Herbert Marcuse

 

Scrive l’altro «cattivo maestro» Herbert Marcuse (1898-1979), il padre della della contestazione studentesca degli anni Sessanta:

«Si può parlare a buon diritto di rivoluzione culturale, poiché la contestazione è rivolta all’insieme dell’”établissement” culturale, ivi comprese le basi morali dell’attuale società. L’idea e la strategia tradizionale di rivoluzione […] sono decadute […]. Ciò che dobbiamo intraprendere è un tipo di disintegrazione del sistema che sia diffuso e disperso» 18.

Cosa di meglio di un mezzo così apparentemente innocente come la musica?

 

 

 

Da sinistra: Sigmund Freud, Théodor Adorno e Herbert Marcuse.

 

 

NOTE

 

1 Ecco come l’ex Gran Maestro Pierre Felix Simon, della Gran Loggia di Francia, colui che ha perorato con tutti i mezzi l’introduzione nel proprio Paese della Legge Veil, che regolarizza l’aborto, descrive, a proposito del concetto di vita, il cambiamento radicale di cui necessita l’umanità: «Il terzo ruolo della contraccezione è la modulazione di un nuovo schema della famiglia […]. La regolazione delle nascite, istituzionalizzata, porterà ad un cambiamento della morale […], un nuovo codice etico […]. È certamente […] la definizione possibile di una nuova sessualità, la creazione, al limite, di una nuova natura umana e di un nuovo concetto di vita» (cfr. P. F. Simon, De la vie avant toute chose, Edizioni Mazarine, Parigi 1979, pagg. 96, 146, 199, 255).

 

2 L’instaurazione dell’One World, ossia di una Repubblica Universale, un sogno accarezzato a lungo dai massoni, onde superare l’ostacolo costituito dalla memoria storica e dall’identità propria di ogni popolo, deve necessariamente essere preceduta dalla confusione delle razze e delle religioni da ottenersi mediante la creazione di quell’enorme calderone che è la società multietnica e multireligiosa di cui oggi tanto si parla.

 

3 Questa accusa verso la Chiesa romana risuona anche sulle labbra del giornalista V. Vale nel corso di un’intervista ad Anton Szandor LaVey (1930-1997), fondatore della Church of Satan: «Io voglio incoraggiare qualsiasi cosa sia un pronunciamento contro il cristianesimo, perché negli ultimi cinquecento anni i missionari cristiani hanno sistematicamente distrutto quasi tutte le culture diversificate del mondo, facendone un posto molto meno interessante. Nessun altra religione – buddismo, islam, confucianesimo, paganesimo – ha fatto nemmeno la metà dei danni che ha fatto il cristianesimo. […] Non sarà mai troppo presto per liberarci di questa pesta di credenze aliene. Ecco: neanche gli alieni venuti dallo spazio potrebbero inventare un’arma più sconvolgente della religione cristiana da usare contro i popoli del pianeta Terra. La religione cristiana, specie quella cattolica, con i suoi atteggiamenti poco scientifici, irresponsabili, suicidi, verso il controllo delle nascite, è responsabile del più grande problema non affrontato nel mondo odierno: la sovrappopolazione. In meno di 25 anni la popolazione mondiale è raddoppiata da da 2,5 a 5 miliardi e oltre. Le popolazioni che si riproducono più velocemente pur avendo le risorse minori – quelle dell’America Latina e dell’Africa – sono per lo più cristiane, e generalmente sono cattoliche» (cfr. A. Juno,-V. Vale, Tatuaggi corpo spirito, pag. 105).

 

4 Cfr. Papa Leone XIII, Lettera Enciclica Humanum genus, 1884.

 

5 Mons. Delassus è l’autore di una pregevole opera in due volumi intitolata appunto Il problema dell’ora presente. Antagonismo tra due civiltà (Desclée & C. Tipografi-Editori, Roma 1907).

 

6 Cfr. AA. VV., La Massoneria. Ecco il nemico!, Editrice Civiltà, Brescia 1995.

 

7 Cfr. R. Guénon, Il Teosofismo, Edizioni Arktos, 1987, vol. I, pag. 13. La Teosofia è stata una sètta massonica che ha cercato di introdurre la spiritualità orientale in Occidente.

 

8 Ibid.

 

9 Cfr. C. Wilson, Aleister Crowley, Gremese Editore, Roma 1990, pagg. 151-152.

 

10 Cfr. Mons. H. Delassus, op. cit., vol. I, pagg. 248-249, 259.

 

11 Cfr. Révue Internationelle des Sociétes Secrétes, Parigi 1928, pag. 2062-2063.

 

12 Questo fatto venne riportato anche dalla rivista L’Action Catholique de Québec, del 31 maggio 1956.

 

13 Questa e le successive citazionisono state estratte dall’opera di don Enzo Boninsegna intitolata Perché il pudore? Rifletti! «Un comunista americano ha confessato, ultimamente, di avere propagato la letteratura pornografica, per ventisette anni, per corrompere la gioventù americana» (cfr. K. Kock, Il tramonto del mondo libero, pag. 37; cit. in I. A. Santangelo, L’ultima battaglia, Comunità Editrice, Catania 1985, pag. 35).

 

14 Cfr. R. de Toledano, L’École de Francfort («La scuola di Francoforte»), pagg. 14-15.

 

15 Cfr. J. Steinberg, Draft Report on Manchurian Children.

 

16 Cfr. T. Adorno, Introduzione alla sociologia della musica, Einaudi, Torino 1971.

 

17 Cfr. K. Kalimtgis-D. Goldman-J. Steinberg, Droga S.p.A.. La guerra dell’oppio, Edizioni Logos, Roma 1980, pagg. 417, nota nº 18.

 

18 Cfr. The Resister, Estate-Autunno 1998.

 

 

 

Fonte: da Losai del 11 gennaio 2014

Link: http://www.losai.eu/la-massoneria-il-comunismo-e-la-corruzione-della-gioventu-2/

 

STORIA VENETA – 71: 1437 – ANOMALI TUMULTI IN PIAZZA SAN MARCO. INTERVIENE IL COMANDANTE LOREDAN

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Dal testo di Francesco Zanotto

 

“Era in Venezia, in que’ dì, convenuta una moltitudine di marinai, dedotti dall’Istria e dalla Dalmazia, affine di armare la flotta che destinata era a recarsi in sul Po. Quella moltitudine impertanto, in segno di gioia, si die’ allo stravizzo, e quindi fatta calda dal vino, si pose a scorrere la città con faci accese, facendo baldoria. Mancata la materia al fuoco recato, cercandone invano, giunsero in piazza, e colà si diedero ad abbruciar le botteghe … ”

 

ANNO 1437

 

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Giuseppe Gatteri

 

Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.

  

Prosegue per Venezia l’impegno bellico contro il Visconti. A dar man forte alle truppe della Serenissima anche un migliaio di marinai dalmati e istriani che alla notizia di una vittoria si lasciano un pò troppo trasportare dall’euforia …

 

LA SCHEDA STORICA – 71

  

Dopo la morte del Carmagnola nel 1432 venne siglata una nuova pace tra Venezia e il signore di Milano (seconda pace di Ferrara -1433).

Più che di veri e propri trattati di pace – la loro rilevanza era soprattutto da ascriversi alle assegnazioni o ridefinizioni territoriali in essi contenute -, si trattava in realtà di brevi, vitali, tregue che davano giusto il tempo agli eserciti dei due schieramenti di riorganizzarsi e prepararsi a nuove iniziative e quindi a nuovi scontri.

Non solo durante i brevi periodi delle tregue – mai per la verità del tutto tranquilli – gli eserciti potevano “tirare il fiato”, ma spesso in quei brevi mesi si verificavano anche improvvisi ed imprevisti ribaltamenti di alleanze con inaspettati passaggi di forze da un fronte all’altro.

Fu il caso di Genova, per esempio, che dopo questa tregua si trova sorprendentemente alleata di Venezia per essersi momentaneamente liberata dal giogo visconte o che la voleva naturalmente schierata contro la Serenissima; oppure era il caso ancora, dell’imperatore Sigismondo che solo qualche anno prima con le sue truppe devastava i territori veneziani in Friuli e ora combatteva a fianco della repubblica veneta contro il Visconti. Per non parlare, infine, dei protagonisti per eccellenza di quei convulsi e feroci anni di guerra: i capitani di ventura.

Carmagnola, infatti, fu solo uno dei tanti, certo, in quel momento il più famoso, il più abile e quindi il più richiesto. Dopo la sua esecuzione il campo, perciò, si era improvvisamente liberato per lasciare spazio a un altro di questi personaggi destinato a sedere sul trono del ducato di Milano, inaugurando una delle più celebri dinastie italiane, quella degli Sforza. Francesco Sforza, al soldo di Filippo Maria Visconti, passò successivamente al servizio della repubblica fiorentina ed infine a quello della stessa Serenissima in un continuo e repentino cambiamento di parti a seconda delle proprie e personali ambizioni ..

 

Lo scontro con i Visconti

 

Le nuove ostilità tra gli eserciti della Lega anti-viscontea e il duca di Milano Filippo Maria Visconti, intanto, ripresero su grande scala nel 1436 con un andamento subito favorevole alle prime guidate proprio dallo Sforza che arrivò a minacciare la stessa Milano. Il Visconti, a quel punto, cercò disperatamente la pace con Venezia e tentò, inutilmente, di riportare lo Sforza dalla sua parte (il condottiero infatti, così come il Carmagnola circa dieci anni prima, se ne era andato sbattendo la porta dopo un acceso diverbio con il duca). Falliti entrambi i tentativi, la guerra proseguì con altre numerose battaglie combattute dai due eserciti nelle pianure lombarde per buona parte del 1437. Nell’estate di quello stesso anno i due eserciti nemici si scontrarono duramente.

A guidare gli opposti schieramenti, due dei più valorosi capitani di quel tempo: Niccolò Piccinino per le forze viscontee, Erasmo da Narni, detto il Gattamelata, le truppe veneziane.

Originario appunto di Narni (Terni) dove era nato nel 1370, il Gattamelata venne presto così soprannominato per la sua scaltrezza unita però a una più che rara ed eccezionale dolcezza dei modi che facevano di lui più un cavaliere che un rude soldato. Già nel 1434 con il consenso del pontefice Eugenio IV che lo aveva arruolato, passò al servizio di Venezia contro Filippo Maria Visconti. Quando poi, Gianfrancesco Gonzaga, signore di Mantova, tradì Venezia per passare definitivamente al duca di Milano, Gattamelata venne nominato capitano generale della Serenissima, titolo che mantenne fino alla morte avvenuta a Padova nel 1443. Dal momento dell’alta nomina, il condottiero prese a muoversi con i suoi uomini in Veneto e in Lombardia attuando una guerra tattica di movimento che gli consentì di tenere a bada in diverse circostanze le superiori forze viscontee.

 

A volte si esagera

 

In uno scontro, in particolare, tuttavia, proprio nell’estate del 1437, l’esito rimase incerto fino all’ultimo momento. Anzi, pare proprio che in quell’occasione non vi fossero stati propriamente nè vinti nè vincitori. Gattamelata si ritirò intanto a Brescia mentre il Piccinino ripiegava su Cologna Monzese.

Accadde, tuttavia, che per rincuorare probabilmente gli animi dei veneziani, si provvide a far diffondere la notizia (falsa o comunque non del tutto vera) della vittoria delle armi venete su quelle lombarde. La notizia giunse così bella e impacchettata a Venezia il 17 agosto del 1437 per bocca di Andrea Donato.

In quei giorni a Venezia, intanto, si era radunata una moltitudine di marinai provenienti dall’Istria e dalla Dalmazia per portare il loro aiuto alla Serenissima nella sua guerra contro il Visconti. L’attesa e la notizia della vittoria rese particolarmente euforici i marinai che si lasciarono andare a pubbliche e certamente poco composte manifestazioni di giubilo. Sotto l’effetto dell’abbondante alcool ingurgitato, gli uomini si diedero presto ad ogni sorta di vandalismo bruciando o distruggendo i banchi di legno dei fruttaioli e dei panettieri che si trovavano allora in Piazza S. Marco. Invano le guardie tentarono di arginare l’ondata devastatrice.

Per farlo, ci volle infatti tutta l’autorità e il carisma del Procuratore di S. Marco Pietro Loredan, il vincitore dei Turchi a Gallipoli e di tante gloriose battaglie, certamente uno dei personaggi pubblici più amati a Venezia. Alla sua comparsa i marinai avvinazzati – così almeno si racconta – si ricomposero immediatamente e rientrarono composti nei loro quartieri.

 

Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA, volume 3, SCRIPTA EDIZIONI

Link: http://www.storiavicentina.it

 

 

CAPIRE LA GRECIA. MA LA RICORDIAMO LA SUA STORIA RECENTE?

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Immagine della guerra civile greca

 

 

Capire la Grecia non è facile, ma potrebbe essere addirittura impossibile senza tener ben presente la sua storia recente. Storia che pochi ricordano.

Citiamo a seguito ampli stralci da Wikipedia, così da consentire al Lettore un testo di riferimento sintetico, anche se non sempre oggettivo come lo si potrebbe desiderare. Ma, ricordiamocelo, é difficile scrivere la storia contemporanea.

 

In sintesi:

 

  1. Al termine della II guerra mondiale si combatté in Grecia una furibonda guerra civile tra un esercito filocomunista sorretto dall’Urss e relativi satelliti, e l’esercito regolare appoggiato da consistenti contingenti inglesi ed americani. Si conobbero tutti gli orrori che accompagnano le guerre civili.

 

  1. La guerra civile terminò il 16 ottobre 1949, dopo quattro luttuosissimi anni.

 

  1. I filo-atlantici ottennero la vittoria militare, cui però non conseguì una pace politica e sociale. Le due parti in causa, contrapposte sia per ideologia sia per composizione etnica, continuarono a covare ed ad alimentare un odio reciproco per nulla dissimilato.

 

  1. Le successive fasi storiche del regime dei colonnelli e, poi, della formazione della Repubblica, non concorsero certo a placare gli animi, né ad attutire i ricordi.

 

Sotto questa luce diventa evidente la più importante delle motivazioni di sottofondo che spiega la gestione sia politica sia sociale sia economica degli ultimi vent’anni in Grecia, e che ha portato all’attuale catastrofe. Catastrofe in primo luogo di coesione politica e sociale e, solo secondariamente, anche economica. Gli odi generati dalla guerra civile non si sono ancora sopiti.

Retaggio storico che lascia più ombre che luci sul prossimo futuro della Grecia, indipendentemente da come potrà evolvere la situazione. Troppo spesso dimentichiamo che l’economia è fatta da uomini.

 

La guerra civile

 

    La Guerra civile greca fu combattuta dal 1946 al 1949 in Grecia fra la guerriglia comunista (appoggiata dai partigiani jugoslavi del NOF) e il governo monarchico greco sostenuto dapprima dalla Gran Bretagna e poi soprattutto dagli Stati Uniti d’America. ….

    Mentre la Grecia venne occupata da tedeschi ed italiani e ad Atene si instaurò un governo fantoccio filo-nazista, re Giorgio II, abbandonata la Grecia, si rifugiò al Cairo dove in esilio formò un governo monarchico che ricevette subito il riconoscimento della Gran Bretagna. ….

    Nei primi mesi del 1944 l’EAM-ELAS costituì un governo provvisorio sulle montagne. Nell’ottobre del 1944 le truppe tedesche si ritirarono e i britannici insediarono ad Atene un governo di unità nazionale comprendente anche i comunisti, presieduto dal socialdemocratico Geórgios Papandréu. …

Il governo di unità nazionale ebbe vita brevissima: Papandreu accolse solo in parte le richieste dei comunisti (che pretendevano diversi importanti dicasteri), quindi per protesta i ministri comunisti in carica si dimisero e fu indetta per il 3 dicembre una manifestazione per chiedere le dimissioni di Papandreu. …

    È difficile stabilire l’inizio esatto della nuova e lunga guerra civile. Nei primi mesi del 1946 i comunisti si arroccarono nelle regioni montuose del nord dove rifiutandosi di riconoscere la monarchia (appena restaurata a seguito di un referendum), riorganizzarono l’ELAS come Esercito Democratico Greco (DSE), proclamarono la Repubblica ed ottennero il sostegno dei partigiani del NOF (combattenti provenienti soprattutto dalla Jugoslavia in quanto macedoni, ma anche da Bulgaria e Albania che vennero denunciati come paesi aggressori). La guerra civile ebbe anche una componente etnica: circa un terzo dei combattenti comunisti erano macedoni di lingua slava, e tale situazione complicava ulteriormente lo scontro in atto.

    Il governo monarchico al fine di impedire i rifornimenti al nemico decise il trasferimento di interi villaggi in zone ritenute più sicure, mentre nelle zone controllate dai comunisti (che si estendevano fino al Parnaso e a pochi chilometri da Atene) erano numerosi gli episodi di prevaricazione e violenza. La contrapposizione fra le due parti, però, non poteva essere superiore: da una parte il debole governo monarchico formato da personaggi politici di basso profilo che non riuscivano a dare vita a delle maggioranze stabili, dall’altra un governo clandestino (Governo provvisorio democratico) nascosto fra le montagne guidato da Markos Vafiadis.

    Il governo provvisorio, fondato nel 1947, controllava politicamente e militarmente il 70 % del territorio greco, da Evros al Peloponneso, ed aveva anche un parziale controllo delle montagne e della maggior parte delle isole.

    L’esercito governativo dal 1947 alla primavera del 1948 era per la maggior parte asserragliato ad Atene e nelle maggiori città, anche se aveva sotto controllo le grandi pianure della Tessaglia e di Tessalonica. Il DSE al tempo comprendeva più di 50.000 combattenti e una forte rete di simpatizzanti nelle aree rurali e montuose. Il suo quartier generale era sul monte Vitsi, vicino al confine con la Jugoslavia, appoggiato da altri due quartier generali regionali nella Grecia centrale (monte Pindo) e nel Peloponneso (monte Taigeto).

     La guerra civile in Grecia ebbe vaste conseguenze sull’opinione pubblica internazionale e sull’Europa già duramente provata. L’inverno 1946-1947 fu terribile: la situazione alimentare si presentava più grave che negli anni di guerra, le manifestazioni di protesta scuotevano molti paesi, mentre in Francia e in Italia i partiti comunisti estromessi dai governi assumevano un atteggiamento di totale ostilità nei confronti dell’esecutivo filo-monarchico.

    Nell’Europa orientale anche dopo gli accordi di Jalta l’URSS non aveva smobilitato l’esercito e teneva circa 200 divisioni attive, una parte delle quali nelle regioni più vicine ai paesi occidentali. L’intervento, seppur indiretto, della Jugoslavia a favore dei ribelli e dei britannici a fianco dei monarchici poteva far pensare alla degenerazione verso un conflitto internazionale. ….

    Il governo greco lanciò diversi attacchi contro le regioni controllate dai comunisti, ma senza grande successo, in quanto i guerriglieri si ritirarono senza subire gravi perdite e durante l’inverno ridiscesero a valle. Nel febbraio del 1947 il governo britannico annunciò che a causa della grave situazione finanziaria del paese non era più in grado di assistere la Grecia.

    L’annuncio venne accolto dai filo-monarchici come un disastro perché a loro dire il paese ellenico sarebbe caduto sotto un regime non diverso da quello degli altri paesi dell’Est se non vi fosse stato un nuovo intervento statunitense nel paese. Gli statunitensi iniziarono a inviare gli approvvigionamenti militari nei mesi successivi: in tal modo il governo greco sotto il più giovane Re Paolo ritrovò una maggiore saldezza, mentre al contrario i comunisti iniziarono una nuova strategia che si rivelò infruttuosa.

    Una delle maggiori battaglie nei tre anni di guerra ebbe luogo sui monti Grammos nel 1948. Il 16 giugno, nell’ambito dell’Operazione Koronis, 100.000 soldati governativi attaccarono 12.000 combattenti del DSE asserragliati sulle montagne. Dopo due mesi di duri combattimenti, il 21 agosto, il DSE riuscì a rompere l’accerchiamento e ricongiungersi con altre forze a Vitsi. Questa azione, eseguita subito dopo una disastrosa sconfitta nel Peloponneso, fu di fondamentale importanza nell’evitare una immediata vittoria governativa. ….

    Uno degli aspetti più controversi del conflitto fu l’evacuazione forzata di circa 30.000 bambini (figli di anticomunisti, ma non solo) dai territori del Nord controllati dal DSE in “campi di rieducazione socialista” situati nei paesi comunisti vicini (soprattutto in Bulgaria, Cecoslovacchia, Romania e Ungheria). Una Commissione Speciale istituita all’epoca dalle Nazioni Unite (la guerra civile greca fu una delle prime questioni affrontate dalla neonata organizzazione) dichiarò che “alcuni bambini era stati forzatamente trasferiti”, in contrasto con opinioni del Partito comunista che sosteneva che l’evacuazione dalle zone di guerra era avvenuta esclusivamente su richiesta dei genitori. Numerose risoluzioni dell’Assemblea generale ONU fecero appello affinché i bambini venissero rimpatriati, ma la maggior parte di loro fece ritorno in Grecia solamente tra il 1975 e il 1990, molti anni dopo la fine della guerra, di alcune migliaia se ne persero invece le tracce e non fecero più ritorno in Grecia.

    Dalla parte opposta, un altro aspetto controverso fu il trasferimento di circa 25.000 bambini (prevalentemente figli di guerriglieri del DSE) in 30 villaggi (chiamati “Città dei bambini”) nel Sud del paese gestiti da organizzazioni religiose e controllati direttamente dalla regina di Grecia Federica di Hannover; la maggioranza fu successivamente data in adozione a famiglie americane e solo oggi alcuni di loro iniziano a raccogliere notizie sulla propria famiglia in Grecia.

    In entrambi i casi ci sono reciproche accuse di sequestro di persona e di indottrinamento politico.

….

Nell’estate del 1948, una notevole porzione dell’esercito comunista, non più disperso sul territorio, rimase bloccato nel Peloponneso, dove subì la prima pesante sconfitta; la III Divisione, non riuscendo a ricevere munizioni dal quartier generale, né a catturare i depositi dell’esercito monarchico, fu completamente annientata e la maggioranza dei suoi 20.000 componenti uccisa in combattimento. Successivamente a questa sconfitta nel Sud della Grecia, il DSE dovette limitare le sue operazioni alle regioni settentrionali e ad alcune isole, perdendo in tal modo il controllo di una porzione di territorio vasta e di notevole importanza politica ed economica. Nei mesi successivi, nonostante l’invio di nuovi rifornimenti e di pezzi d’artiglieria, tentativi di contrattacco non ebbero successo.

    La motivazione principale della sconfitta, però, fu politica prima che militare. Infatti la rottura fra Stalin e Tito portò nel gennaio 1949 alla sostituzione dell’eroico comandante Vafiadis (inviato in URSS dove fu posto agli arresti domiciliari) con il più docile Zachariadis, e nello stesso periodo, la cessazione degli aiuti jugoslavi al Partito Comunista Greco, che nella diatriba interna al mondo comunista si era schierato con Mosca, nonostante il governo sovietico non fornisse alcun aiuto di tipo logistico. Privo di armi e di mezzi e della possibilità di usufruire dei confini jugoslavi e sconvolto da una lotta interna per l’eliminazione degli elementi titoisti, che portò a una forte demoralizzazione, il Partito comunista era fortemente indebolito.

    In seguito alla nuova controffensiva del generale monarchico Alexander Papagos, l’esercito comunista subì gravi perdite e non fu più in grado di affrontare battaglie di tipo convenzionale; entro la fine del mese di settembre tutte le maggiori unità si erano ritirate in Albania, mentre i 1000 combattenti sparsi nella Grecia meridionale erano fuggiti nei paesi dell’Europa orientale; il comando generale del DSE fu trasferito a Tashkent, in Uzbekistan, dove rimase per i successivi tre anni prima di essere sciolto. Il 16 ottobre dello stesso anno Zachariadis annunciò il cessate il fuoco, segnando definitivamente la fine della guerra. ….

    Nei tre anni di guerra si erano avuti circa 80.000 morti e un gran numero di profughi. Molte migliaia di ex-combattenti vennero avviati al confino nelle isole, ammassati in poveri campi.

    La guerra, oltre ad affossare l’economia già disastrata, lasciò una profonda divisione ideologica nella popolazione, che impedì la formazione di una stabile situazione politica che portò, anni dopo, alla dittatura dei colonnelli.

    Solo successivamente alla caduta del regime militare, il governo conservatore di Kostas Karamanlis abolì la monarchia, legalizzò il Partito comunista e promulgò una nuova Costituzione che garantiva diritti e libertà democratiche, nonché elezioni libere. Nel 1981 il governo di centro-sinistra del PASOK consentì ai veterani del DSE di ritornare in Grecia e istituì una pensione per coloro che avevano combattuto durante la guerra mondiale nella Resistenza contro i nazisti.

    Nel 1989, un governo di larga coalizione tra destra e sinistra propose una legge, poi approvata all’unanimità dal Parlamento greco, che riconosceva il conflitto avvenuto 40 anni prima non più come una insurrezione comunista, ma come una guerra civile tra l’Esercito nazionale ellenico e l’Esercito democratico greco, dando lo status di legittimi combattenti a entrambe le parti e sostituendo il termine “banditi comunisti”, precedentemente in uso, con “combattenti del DSE”.

 

Fonte: srs di Giuseppe Sandro Mela, da Riscio Calocolato del 16 maggio 2012

Link: http://www.rischiocalcolato.it/2012/05/capire-la-grecia-ma-la-ricordiamo-la-sua-storia-recente.html

 

 

NON DITE DI ESSERE SCORAGGIATI, DI NON VOLERNE PIÙ SAPERE

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Giacomo Ulivi

 

 

No, non dite di essere scoraggiati,

di non volerne più sapere

 

Pensate che tutto è successo

perché non ne avete più voluto

sapere!

 

 

Giacomo-Ulivi.scritto .693

 

 

Da una lettera di

GIACOMO ULIVI

 

Di 19 anni, universitario

fucilato dai fascisti sulla Piazza Grande  di Modena

il 10 novembre 1944

 

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